Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

No, non è un errore, una svista o una trovata. Non è nemmeno un titolo che nasconde qualcosa. È semplicemente una espressione presa dalla Bibbia. È contenuta nel libro dei Numeri al capitolo 16. È detta dai figli d’Israele, la generazione uscita dall’Egitto, durante il cammino nel deserto, proprio nei pressi della terra promessa. Ma andiamo con ordine: prima una introduzione generale, poi uno sguardo al testo dove la frase è contenuta, con qualche commento e riflessione.


Chi legge la Bibbia e conosce la storia del popolo d’Israele sa che l’Egitto, luogo di rifugio per i patriarchi, è la terra della schiavitù. Per il popolo di Dio, Egitto e schiavitù diventano un’unica cosa, un unico ricordo, una stessa tragedia, un unico vocabolo: Egitto significa schiavitù, schiavitù significa Egitto. L’Egitto è un paese deserto reso fertile dal fiume Nilo che lo attraversa dall’alto in basso. Il suo nome ebraico è misrayim, e ricorre centinaia di volte nella Bibbia. La schiavitù del popolo d’Israele in Egitto è durata 400 anni. Una schiavitù durante la quale i figli d’Israele furono maltrattati, umiliati, affamati, privati della dignità, e nei confronti dei quali fu praticata una politica di stermino della razza con la morte dei bambini maschi decretata dal re d’Egitto, un re che non aveva conosciuto Giuseppe. La liberazione dalla schiavitù egiziana è raccontata nel libro dell’Esodo, ma l’Egitto e tutto ciò che per Israele ha rappresentato è ricordato decine di volte nell’Antico Testamento: dal Deuteronomio ai Salmi e ai Profeti. Mosè, nei grandi discorsi che fa al popolo d’Israele prima dell’ingresso nella terra promessa, ricorda quel paese dove lui stesso ha vissuto con la famiglia e i suoi fratelli ebrei, e chiama l’Egitto: “fornace di ferro” (Deuteronomio 4,20). L’espressione è ripresa da Salomone nella preghiera per il tempio di Gerusalemme (1 Re 8,51). L’Egitto è dunque il paese della schiavitù e di ogni tipo di privazione, e lo sa bene la generazione che è uscita dall’Egitto. Eppure, proprio costoro, durante una rivolta contro Mosè e Aronne, chiamano l’Egitto “il paese dove scorre il latte e il miele”. E questo ci introduce nel racconto del capitolo 16 del libro dei Numeri.


Il capitolo racconta la ribellione di Core, Datan, Abiran e Pelet, e con loro duecentocinquanta israeliti autorevoli, uomini rinomati. Il primo è un levita, e questo è un dato su cui tornare, gli altri tre appartengono alla tribù di Ruben. Alla fine l’intera comunità viene trascinata in una rivolta contro Mosè e Aronne, accusati di aver fatto morire il popolo del Signore. Ma qual è il motivo del contendere, della ribellione? È un problema di autorità e di riconoscimento dei ruoli stabiliti da Dio. “Cosa d’altri tempi”, qualcuno direbbe, ma non è così: la questione è assai attuale pure nelle chiese. Tutto nasce perché Core e i suoi non riconoscono più l’autorità e la guida di Mosè e il sacerdozio affidato ad Aronne e ai suoi figli. A loro parere i due fratelli (Mosè e Aronne) si sono esaltati sopra la comunità di Israele, comunità nella quale sono tutti santi, e perciò dicono: “Basta!”. Può sembrare un ragionamento sano quello dei ribelli, ma non è così, poiché dimenticano che Mosè e Aronne sono stati scelti da Dio e dal lui preposti alle loro funzioni. In una comunità di santi non vige il principio che tutti fanno tutto, ma Dio affida a ciascuno un ruolo e chiama alcuni a svolgere dei ministeri.  Mosè propone una specie di arbitrato ai ribelli, che per certi versi ricorda la sfida di Elia ai profeti di Baal sul monte Carmelo, per verificare chi Dio ha scelto per il sacerdozio. Il libro dei Numeri riferisce che un fuoco uscì dalla presenza del Signore e divorò gli uomini che con i loro turiboli offrivano l’incenso ma non erano sacerdoti figli di Aronne. Il libro dei Numeri spiega perché la generazione uscita dall’Egitto, eccetto qualcuno, non è mai entrata nella terra promessa: per via della loro disubbidienza e incredulità. Nei capitoli 11-14, Numeri ha raccontato il peccato di molti ma non ha parlato dei leviti. La domanda che sorge allora è: i leviti usciti dall’Egitto, morirono anche essi nel deserto? E se sì, per quale motivo? Per la loro disubbidienza e incredulità. Nonostante le leggi e le prescrizioni del capitolo 15 offrissero speranza e la promessa di Dio di condurre la nuova generazione nella terra promessa, la vecchia generazione uscita dall’Egitto, leviti compresi, continua a disubbidire e a mormora contro il Signore, fino ad arrivare a dire che l’Egitto, da dove sono usciti, era un “paese dove scorre il latte e il miele” (16,13). Vi è qui forse una parodia della promessa di Dio, più volte reiterata, di condurli a Canaan, nel paese dove scorre il latte e il miele. Certo è che il peccato e l’invidia portano sempre ad un capovolgimento della realtà.

Paolo Mirabelli

01 marzo 2017

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