Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Il capitolo 11 del libro dei Numeri segna l’inizio della fine per la generazione d’Israele uscita dall’Egitto, a motivo del continuo e irriverente mormorio e piagnucolio nei confronti del Signore. Il capitolo può essere articolato in cinque parti: Tabera (11,1-3); la manna (11,4-9); Mosè si lamenta con Dio (11,10-15); i settanta anziani (11,16-30); le quaglie e Chibrot-Attaava (11,31-35).


C’è chi vede nella lamentela di Tabera un compendio delle storie di lamentele che seguono. Ma è meglio considerare l’episodio un primo caso di ribellione contro Dio. Non è detto per quale motivo il popolo mormora a Tabera, ma non è difficile supporlo: probabilmente mormora per il deserto. Da circa un anno il popolo vive e cammina nel deserto. Davanti a sé vede il deserto, dietro ha il deserto, alla sua sinistra e alla sua destra c’è deserto. La vista del deserto non è piacevole. La vita nel deserto è dura. Ma il Signore è con il popolo, giorno e notte, e provvede il necessario per vivere, e dà guida e protezione lungo il viaggio. In Egitto Israele era un popolo di schiavi, privato di tutto e sottoposto a una lunga e dura schiavitù. Nel deserto è un popolo libero. La meta del cammino, alla fine del deserto, è la terra promessa. Il deserto (non solo sul Sinai) è il luogo dove Dio si rivela a Israele. Nel deserto Israele vive una esperienza unica con il Signore. Il deserto è una scuola di vita e una pedagogia di fede. È tutto questo che rende insopportabile il mormorio e il piagnucolio irriverente del popolo. A Tabera il popolo si lamenta, l’ira di Dio divampa e consuma l’estremità del campo, da dove il mormorio ha inizio, Mosè intercede e il castigo cessa.


Il secondo e tumultuoso caso di ribellione contro Dio coinvolge l’accozzaglia di gente raccogliticcia (in ebraico ’asafsuf) e anche i figli d’Israele Lamentano la mancanza dei cibi che avevano in Egitto: pesci, cocomeri, meloni, porri, cipolle e aglio. Una varietà di cibi. Mentre Dio, secondo loro, dà sempre e solo manna. Sempre lo stesso cibo. Disprezzano così la manna, il pane di Dio. Nella terra promessa, il popolo potrà godere in abbondanza di tutti i prodotti della terra, ma ora è in viaggio nel deserto, e nel viaggio non si può avere di tutto e godere di ogni cosa. Inoltre. La porzione di manna giornaliera serviva anche ad insegnare al popolo ad avere fiducia in Dio, che provvede ogni giorno il necessario per vivere, e imparare che l’uomo non vive soltanto di pane, ma di ogni parola di Dio. Infine. La manna aveva il sapore di una focaccia all’olio: come si può allora preferire la cipolla, il porro o l’aglio alla manna? A quanto pare quella generazione preferiva l’Egitto alla terra promessa, la schiavitù alla libertà, gli idoli a Dio.


Il malessere che serpeggia nell’accampamento, che vede coinvolto il popolo, “ciascuno all’ingresso della sua tenda”, provoca nuovamente l’ira di Dio. Mosè appare stanco, scoraggiato, e prende le distanze dal popolo. Si lamenta di dover portare da solo il peso che Dio ha messo sulle sue spalle. Sostiene che il Signore, non Mosè, ha concepito e dato alla luce il popolo d’Israele, come una madre, e ora, come una nutrice, dovrebbe prendersi cura d’Israele, fino alla terra promessa. Mosè appare esasperato per la mancanza di carne, che non sa dove prendere. Gli pesa troppo la guida del popolo. Chiede di morire piuttosto che continuare così.


Dio risponde immediatamente a Mosè e gli ordina di convocare settanta anziani all’ingresso della tenda di convegno, sui quali spanderà il suo Spirito. Alla fine lo Spirito verrà sparso sui settanta anziani e su altri due uomini non convocati davanti alla tenda, ma rimasti nell’accampamento. Mosè non sarà più solo a guidare il popolo. Poi Dio ordina a Mosè di dire al popolo che presto avrà esattamente ciò che chiede: carne, carne e poi carne. Carne non solo per un giorno o una settimana, ma carne per un mese intero, fino alla nausea. Mosè dubita che Dio possa realizzare nel deserto una tale promessa: dare carne da mangiare a 600.000 uomini più le loro famiglie. La risposta di Dio non si fa attendere: “La mano del Signore è forse accorciata? Ora vedrai se la parola che ti ho detto si adempirà o no.” (11,23). Come dire: “Mosè, lascia che Dio sia Dio!”.


Un vento (in ebraico è la stessa parola per spirito) mandato da Dio porta una quantità immensa di quaglie (dunque carne), una distesa pari a una giornata di cammino. Il popolo può raccoglierle, cucinarle e mangiarle. Ma la carne è ancora nei denti quando Dio colpisce Israele con un flagello a motivo della concupiscenza. Il luogo dove questo avvenne ne porta il nome: “Chibrot-Attaava” , vale a dire “Sepolcri della concupiscenza”. Nondimeno, il cammino continua verso Aserot.

Paolo Mirabelli

25 gennaio 2017

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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