È una scena consolante ed esaltante. L’Apocalisse trasferisce il lettore sempre in un mondo di cui tutto si può dire, ma di nulla si può esser certi, salvo la sua realtà. Tutte queste immagini vogliono ritrarre una realtà inimmaginabile: la sorte dei giusti. L’uomo passa la sua esistenza in una realtà opaca, piena di contrasti e di contraddizioni, e sogna che il futuro sia il suo contrario: luminoso e pacifico. Un mondo sempre da desiderare oltre che attendere, in cui le ingiustizie e le sofferenze di quaggiù e la stessa morte scompariranno per sempre. La scena è una visione e una proiezione verso una vita senza fine e la dimora celeste, dove non un piccolo numero ma una moltitudine immensa e plurirazziale entrerà a far parte.
Dopo la solenne scenografia celeste (capitolo 4) e la comprensione del senso della vita e della storia grazie all’intervento dell’Agnello (capitolo 5), inizia la progressiva apertura dei sette sigilli che rendevano finora inaccessibile il libro (capitolo 6). La storia è striata di sangue e di sofferenza, ma non affidata ad un cieco destino di morte. Coloro che stanno dalla parte di Dio e dell’Agnello (Gesù Cristo) non sono risparmiati dalla sofferenza e neppure sottratti alla morte fisica, sono però custoditi in Dio. La loro vita non cade nell’oblio, non finisce nel nulla. La vita terrena è una grande tribolazione per i cristiani che spesso soccombono sotto il peso delle sofferenze, ma la loro fine segna l’inizio di una vita nuova. Sono caduti sotto i ferri degli aguzzini, ma si sono rialzati e indossano tuniche bianche, che simboleggiano la luce da cui sono avvolti, e nelle loro mani stringono la palma della vittoria. Sembravano degli sconfitti ma sono dei vincitori.
Due momenti scandiscono il nostro brano: il gruppo dei salvati (7, 9-12) e la loro identità (7,13-14). Si tratta di una folla immensa, internazionale, impossibile a quantificarsi. Ma alcuni particolari permettono la loro identificazione: stanno in piedi, perché sono vivi come l’Agnello con il quale sono posti in relazione (gli stanno davanti), indossano vesti bianche (colore che li accomuna al mondo celeste e in modo particolare alla risurrezione) e reggono delle palme in mano (segno che condividono con l’Agnello la vittoria sul male e godono della pienezza della vita). Di loro viene riferito il canto celebrativo che accomuna Dio e Agnello, ai quali è attribuito tutto il merito della salvezza. Alla celebrazione si associa tutta la corte celeste in una dossologia che comprende 7 titoli (numero della pienezza). Infine, la domanda del vegliardo permette la piena identificazione dei salvati: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti e le hanno imbiancate nel sangue dell’Agnello” (7,14). I salvati sono pertanto coloro che traggono origine (ieri, oggi e sempre) dalla morte redentrice di Gesù. La presenza di Dio e dell’Agnello in mezzo ai salvati determina l’assenza di ogni sorta di male e di sofferenza, e asciuga ogni lacrima dagli occhi loro. La gioia dei redenti nasce dal fatto che sono diventati partecipi del trionfo dell’Agnello, che pascola e guida il suo gregge alle fonti dell’acqua della vita.