La seconda lettera di Paolo a Timoteo contiene molte istruzioni utili per chi svolge il ministero della Parola, l’evangelista. La prima parte della lettera è più personale e comunitaria, la seconda assomiglia ad “un corso di teologia pastorale pratica”: espone il significato dell’apostolato, richiama la lotta contro il pericolo dei falsi maestri, esorta a fare attenzione alla corruzione degli ultimi tempi, ricorda a Timoteo i doveri del suo ministero, dà infine le ultime raccomandazioni. Il nostro brano si pone tra l’avvertimento sui pericoli degli ultimi giorni e lo scongiuro solenne a svolgere i doveri del ministero. Un’ultima nota introduttiva. I capitoli 3 e 4 della seconda Timoteo, dopo l’avvertimento sugli ultimi giorni (3,1-12), possono essere articolati in tre parti, tenendo conto dei pronomi personali “io” e “tu”, nel modo seguente: “Quanto a te” (3,10-13); “Ma tu” (3,14-4,5); “Quanto a me” (4,6-18). Il nostro testo si colloca tra il “quanto a te” (Timoteo) e il “quanto a me” (Paolo).
L’esortazione con cui inizia il brano riguarda il perseverare, rimanere fermo, stabile, irremovibile, nelle verità che sono state trasmesse non come vane teorie o favole di uomini ma come rivelazione immutabile di Dio, contro le tendenze deviazioniste dei falsi maestri, seduttori e sedotti, di cui l’apostolo ha parlato precedentemente. Timoteo conosce le verità di Dio perché sin da fanciullo le ha apprese dagli “Scritti sacri” mediante l’insegnamento della madre e della nonna. Tali verità sono contenute nelle Scritture, le sole che danno la vera sapienza della salvezza. La rivelazione divina ha come centro Gesù Cristo, perciò conduce a lui, alla fede in lui. “Ogni Scrittura (è) ispirata da Dio”. L’affermazione che tutta la Scrittura è ispirata da Dio è importante perché esprime a sua volta in modo ispirato una verità: l’ispirazione divina delle Scritture. È nella pratica assidua della Scrittura che l’uomo di Dio nutre la sua fede e il suo zelo nello svolgere il suo ministero. La Sacra Scrittura è “utile” a/per “insegnare, riprendere/convincere, correggere, educare alla/nella giustizia”. Paolo indica a quali scopi è utile la Scrittura. La prima utilità è di natura didattica, infatti la Scrittura contiene la verità, e la verità è anche tema di insegnamento. La seconda utilità sta nella riprensione, convinzione, persuasione degli spiriti, rivolta a condurli alla verità e a confutare gli errori. La terza è la correzione, per condurre gli erranti alla verità e ad una vita santa e consacrata a Dio. La quarta utilità della Scrittura è che aiuta la formazione alla giustizia, cioè alla vita secondo la quale Dio vuole che si viva. La Scrittura opera in tal modo la formazione dell’uomo di Dio, cosicché egli è in grado di adempiere il suo ministero di evangelista, e informa e forma i cristiani.
Dopo le affermazioni sulla Scrittura, viene ora un solenne scongiuro da parte di Paolo al giovane Timoteo. È un appello accorato rivolto all’evangelista, ma è pure una parola di commiato al termine della lettera, sapendo che “il tempo della mia partenza è ormai giunto” (4,6). Dominato dal pensiero di una morte vicina, imminente, e della venuta del Signore, Paolo chiede solennemente a Timoteo di perseguire, senza venire meno, la missione affidatagli. Lo scongiura, chiamando in causa “Gesù Cristo che ha da giudicare i vivi e i morti” (proclama così la verità che Gesù sarà il giudice di tutti gli uomini, quelli che saranno in vita alla sua venuta e quelli che risusciteranno) a predicare la Parola. Il tema dello scongiuro riguarda l’annuncio e la predicazione della Parola. L’apostolo ammonisce ed esorta Timoteo a svolgere il ministero della Parola, e lo fa chiamando a testimonio Dio e Gesù Cristo. Egli è consapevole di compiere così un suo dovere di apostolo di Cristo nel prescrivere a Timoteo queste cose. Timoteo deve predicare la Parola come un araldo che ha la lieta notizia da comunicare. Deve insistere e prendere ogni occasione per farlo, nel tempo opportuno (eukairos), al momento giusto, e in quello inopportuno (akairos), fuori tempo. L’inopportunità è da intendere riferita agli uditori, poiché la predicazione in sé è sempre opportuna: anche quando agli uditori pare inopportuna la voce del predicatore, Timoteo deve predicare la Parola. Egli deve “riprendere, sgridare, esortare”. La predicazione, però, anche quando rimprovera o mostra l’errore a chi sbaglia, deve essere fatta con dolcezza e pazienza, aspettando con pazienza il suo frutto, e avere per solida base la Parola di Dio, che è efficace per se stessa. Leggendo queste istruzioni di “pedagogia pastorale”, il ministro della Parola sa coniugare insieme prudenza e audacia, forza (nel rimproverare e nel convincere dell’errore) e mitezza; sa istruire la comunità con la luce della verità e i cuori dei cristiani con il calore, l’amor fraterno e lo zelo per Dio.