Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Gli esegeti moderni individuano in Colossesi 1,13-20 un “inno cristologico” pre-paolinico. A noi interessa qui il testo così com’è, non la sua storia delle forme o della redazione. Da questo brano abbiamo isolato alcuni versetti, e su questi faremo due brevi considerazioni. Prima però un accenno all’inno. La sua posizione iniziale nella lettera ai Colossesi non vuole essere semplicemente celebrativa, ma fondante del messaggio teologico che Paolo dà al suo scritto inviato alla chiesa. L’inno sul primato di Cristo è facilmente divisibile in due parti: la prima, 1,15-17, illustra il rapporto esistente tra Cristo e il creato e lo presenta come il mediatore della creazione; la seconda, 1,18-20,  presenta il ruolo di Cristo in merito alla redenzione umana.


La prima parola con la quale Cristo viene indicato nel nostro testo (1,15) è “immagine” (greco: eikon). Nella cultura ellenistica del mondo antico, l’immagine, pur distinta dal suo archetipo, ne costituisce tuttavia una manifestazione reale. In termini più semplici, si può dire che la relazione tra immagine e realtà è molto stretta, più di quanto noi oggi possiamo pensare. In termini biblici, ciò significa che “immagine” in riferimento a Cristo esprime qui la riproposizione della stessa natura divina del Figlio e del Padre. Gesù è colui che rende visibile in modo chiaro il Dio invisibile. L’immagine di un uomo riflessa in uno specchio riproduce sì fedelmente i tratti fisiognomici della persona ma non partecipa alla natura umana del soggetto. Il Cristo invece come immagine di Dio partecipa alla sua stessa natura. Gesù Cristo allora non è soltanto una immagine di Dio riprodotta in uno specchio, ma egli è immagine di Dio in quanto della stessa natura divina del Padre.


Gesù Cristo in quanto “immagine di Dio” assolve due compiti: rende visibile il Dio invisibile (il Padre) e rende comprensibile il creato. L’apostolo Paolo afferma che Cristo  è  il “primogenito (greco: prototokos) di ogni creatura” (1,16), ma non intende affatto dire che egli è stato creato, bensì che egli è all’origine della creazione, poiché in lui e in vista di lui tutte le cose sono state create. Cristo ha il primato su tutto. Egli presiede, dirige e orienta tutta la creazione. Gesù allora è il fine per il quale il mondo viene creato. L’inno svela così che fin dall’inizio vi è un obiettivo positivo dal momento che tutto viene creato in vista di Cristo. Il modello che il Padre ha davanti a sé nella creazione del mondo e dell’uomo è il suo unigenito. Questa attenzione nella progettazione del creato fa sì che Cristo non sia più solo “l’unigenito”, ma diventi anche “il primogenito”. Il primo si colloca ancora nell'ordine creaturale, il secondo nell’ordine nuovo stabilito da Cristo con la sua risurrezione. Vi è dunque per Cristo un primato antecedente e uno conseguente, in relazione al creato e in relazione alla signoria universale sull’umanità redenta. La primogenitura di Cristo è dunque da intendere nel senso ontologico e cronologico, non solo con una precedenza nel tempo ma altresì una preminenza sul creato, in senso di eccellenza e non tanto in senso di anteriorità. Cristo è colui dal quale tutto ha inizio. È il principio vitale nascosto in tutte le cose. È causa effettiva e fine ultimo di tutto. È il punto di riferimento necessario. Per ogni cosa egli è la possibilità di continuare ad esistere. La pienezza di Cristo è pienezza di vita che si partecipa al creato in quanto vi è in lui la pienezza della divinità.

Paolo Mirabelli

04 luglio 2016

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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