Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Per gli scrittori cristiani antichi (Padri, Dottori, Scolastica) la teologia non è altro che il commento e l’interpretazione della Scrittura.  Anche se la comprensione di certi testi della Bibbia non è sempre facile. Il profeta Daniele, leggendo alcuni passi di Geremia, chiede al Signore di illuminarlo sul loro significato. Gli appare l’angelo Gabriele che diventa interprete della Parola di Dio: “Daniele, io sono venuto perché tu possa comprendere” (Daniele 9, 22). Lo stesso capita al ministro di Candace, l’eunuco etiope, il quale non riesce a comprendere di chi parla il profeta Isaia nel canto del Servo sofferente (Isaia 53,7-8). Filippo gli spiega che si tratta di Gesù (Atti 8,26-40). Nella storia della chiesa, l’interpretazione della Scrittura ha sempre rappresentato un grande banco di prova.


La chiesa, riconoscendo la Scrittura come canone, riconosce di sottomettersi alla Scrittura canonica, cioè normativa. E dunque gli scrittori antichi nella loro “teologia” non fanno altro che commentare la Sacra Scrittura: basta pensare all’opera di Origene (morto verso il 254) in Oriente e di Agostino d’Ippona (morto nel 430) in Occidente.


Nel Medioevo avviene a poco a poco un capovolgimento: la teologia si stacca dalle fonti bibliche e storiche per perdersi nelle speculazioni sterili; diventa una scienza delle conclusioni. Nel Medioevo, elemento essenziale di qualsiasi scienza è la questione delle auctoritates (autorità). Si pone allora la domanda: quali sono le autorità della teologia in quanto scienza? La chiesa, i concili, la tradizione, il magistero, altre. Tuttavia i grandi teologi medievali (Pietro Lombardo, morto nel 1160; Tommaso d’Aquino, morto nel 1274; Bonaventura da Bagnoregio, morto nel 1274) sanno ancora distinguere bene le molte auctoritates dall’unica auctoritas del Signore, che poggia sulla Sacra Scrittura, da essi pure più volte commentata.


L’appello degli umanisti di ritornare alle fonti (ad fontes), la Scrittura innanzitutto, è perciò più che giustificato e ha un effetto salutare. L’Umanesimo (con Erasmo di Rotterdam, morto nel 1536) e la Riforma (con Martin Lutero, morto nel 1546) pongono in questione l’inconsistenza delle auctoritates in nome dell’unica auctoritas. Gli umanisti lo fanno in nome della critica storica e di una comprensione storica della tradizione linguistica; i riformatori avanzavano la loro critica in nome della Sola Scriptura.  La Scrittura è chiara e trasparente, essa è interprete di se stessa, e chiunque la legge nella fede e la accoglie nella predicazione può rettamente comprenderla; non c’è quindi bisogno di un magistero ecclesiale. Con il principio della Sola Scriptura, i riformatori intendono verificare se una dottrina o prassi della chiesa antica si sia mantenuta invariata, come istituita dagli apostoli, in caso contrario, se si tratta di tardive invenzioni umane, si cerca di rimuoverle. Essi riconoscono le decisioni di fede della chiesa antica solo quando queste non sono in contrasto con la chiara testimonianza della Scrittura; ogni affermazione ecclesiale per essere valida deve essere provata a partire dalla Parola di Dio. Bisogna dire però che la Riforma vede nei primi concili della chiesa antica la difesa e la salvaguardia del messaggio biblico.


Alle affermazioni dei riformatori, la Chiesa Cattolica risponde con il concilio di Trento (1545-1563), in cui ribadisce l’importanza della tradizione, che deve essere considerata anch’essa fonte della rivelazione, e dunque formula il paradigma: Bibbia e Tradizione. Inoltre, la tradizione viene legata strettamente al magistero della chiesa: nasce così la tendenza ad allargare la tradizione il più possibile e a riconoscere alle decisioni magisteriali in modo indiretto la qualità di rivelazione.


Nel XVII secolo la teologia diventa dogmatica. A ciò contribuiscono le accese dispute tra teologi di confessioni diverse, cattolici e protestanti. Al seguito dei grandi teologi controversisti, nasce l’ortodossia cattolica e l’ortodossia protestante. La necessità di tornare alla dottrina della chiesa vera ha come conseguenza che il magistero cattolico diventa esso stesso norma di fede, fino a giungere ad un “positivismo magisteriale”, e tutto ciò a scapito della Sacra Scrittura. In questa nuova situazione, con le auctoritates medioevali, nascono i loci theologici, l’espressione è di Melchior Cano (morto nel 1560), ricollegandosi alla tradizione umanistica. Questa nuova scolastica dei secoli XVI-XVII adotta una nuova forma di metodo teologico: si adducono intere serie di argomenti storici, più tardi citati solo in forma abbreviata, come ad esempio: “Così dice Suarez con altri 50 teologi”. Si vuole contrapporre la “permanenza della fede” alle innovazioni e alla critica storica.


Questa teologia positiva è condizionata da una tendenza quasi esclusivamente retrospettiva. Molte monografie storiche non sono altro che ulteriori schede per una tesi già fissata. Alla Scrittura viene assegnato un ruolo del tutto marginale e strumentale: essa viene usata in modo acritico per provare tesi preconcette. Le citazioni bibliche sono considerate come “dicta probantia”, poiché non hanno altro compito che provare una tesi stabilita in precedenza. Quest’uso servile della Scrittura  dei “dicta probantia” interessa anche un certo fondamentalismo protestante.


Il metodo storico-critico, che nasce e si sviluppa in ambienti protestanti liberali nel XVIII e XIX secolo, applica allo studio della Bibbia gli stessi presupposti usati per la scienza. Con la diffusione del metodo storico-critico nell’esegesi biblica, la teologia (l’esegesi) affronta i testi biblici con una pre-comprensione che il più delle volte pregiudica la lettura della Parola di Dio, poiché si presta più attenzione al contesto vitale (Sitz im Leben) che al testo biblico. Il metodo storico-critico ha pure il torto di aver sostituito al magistero ecclesiastico il “magistero dei professori di teologia”. Tale metodo continua ad essere usato ma è in crisi e non è più considerato un “dogma”.


Oggi molte proposte teologiche si profilano all’orizzonte, ma non si sa bene dove la teologia approderà. Per quanto ci riguarda, la teologia se vuole ritrovare la sua utilità e il motivo del suo essere al servizio della chiesa e dell’uomo, deve tornare alla Scritture. La Scrittura deve essere non solo e non tanto l’oggetto della teologia, ma il soggetto che determina e ispira il fare teologia. Alla “teologia dei dicta probantia” (spesso citati solo in latino), alla “teologia del Denzinger” e alla “teologia dei professori” bisogna sostituite una sana e onesta teologia biblica, se si vuole riscoprire tutta la ricchezza della Bibbia, in quanto Parola di Dio, e l’insegnamento di Gesù e degli apostoli. A un dottore della legge che chiede cosa bisogna fare per avere la vita eterna, Gesù risponde: “Nella legge che sta scritto? Come leggi?” (Luca 10,25-26).


(l’A. ha conseguito due lauree in teologia e una licenza in teologia dogmatica)

Paolo Mirabelli

20 giugno 2016

Gallery|Bibbiaoggi
Foto & Post della Gallery: 1665
Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.