I “padri del deserto” (Gesù vieta ai suoi discepoli di usare il titolo di “padre”, Matteo 23,9) sono dei monaci laici dei primi secoli che cercano di realizzare nella loro vita uno stato di unione intima con Dio. Ecco la definizione che ne dà Teodoro Studita nelle Piccole catechesi 39: “Monaco è colui che guarda Dio solo, che desidera Dio solo, che si applica a Dio solo, e che, non volendo servire che a Dio solo, essendo in pace con Dio, diviene causa di pace per tutti gli altri”. Dunque, è monaco colui che realizza “unità” nel suo essere interiore, tanto che è divenuto “uno” (in greco: monos; monachesimo deriva da monachos, persona solitaria). L’accento non è posto sul fatto che vive da solo, bensì sul fatto che è uno: è in armonia con Dio, con se stesso, con gli altri e con il mondo. Sono chiamati “Padri del deserto” perché per realizzare l’ideale di unità, il distacco effettivo ed affettivo dai beni terreni, scelgono di vivere nel deserto. Giovanni Cassiano riferisce il discorso di uno di loro: “Abbiamo disprezzato e considerato nulla le comodità e abbiamo gusto solo per questo arido deserto. A tutti i piaceri del mondo preferiamo la spaventosa nudità di questa solitudine, la tristezza desolata di questa sabbie”.
Veniamo ora al motivo del di questo articolo: i Padri del deserto e la lettura della Bibbia.
Uso della Scrittura. Imparano a memoria molti brani della Bibbia: in genere tutto il Nuovo Testamento e il Salterio (i Salmi). Citano la Bibbia continuamente, ne fanno allusioni e richiami con libertà e spontaneità. Fanno accostamenti e fusioni di testi, come un mosaico. Fanno emergere le infinite potenzialità del testo biblico: “La parola di Dio è un fuoco, un martello che frantuma la roccia; come il martello fa sprizzare dalla roccia da esso colpita innumerevoli scintille, così ogni parola di Dio rivela molteplici significati”.
Fede nella Scrittura. Riconoscono nella Bibbia la presenza di Dio e il fondamento su cui costruire la propria vita. Il monaco Epifanio scrive: “Il solo vedere la Bibbia ci rende più esitanti di fronte al peccato e ci dà maggior vigore a compiere la giustizia”. Se qualcuno di loro cede alla tentazione, il primo strumento per la conversione è la meditazione della Bibbia.
Atteggiamenti di fronte alla Scrittura. Si accostano alla Bibbia per ricevere indicazioni, per conoscere la volontà di Dio. Ad alcuni monaci che chiedono di sapere la via della salvezza, Antonio il Grande risponde: “Avete ascoltato la Scrittura? È quello che occorre per voi”.
L’esegesi della Scrittura. Leggono l’Antico Testamento in modo allegorico e vedono nei personaggi biblici dei tipi o delle figure portatrici di un messaggio. Attribuiscono a se stessi frasi e immagini della Bibbia. Fanno una lettura religiosa o spirituale di diversi brani biblici. Cercano di praticare la “sequela di Cristo”. Fanno una esegesi letterale della Parola di Dio, nel senso che si sentono direttamente interpellati dalla Bibbia: “Essa parla a me e di me”. Evitano lo studio che porta al disimpegno o al puro sfoggio intellettuale, perché contrario all’umiltà.