Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Israele è un “popolo particolare”, come afferma la Torah di Mosè (Esodo 19,5; Deuteronomio 7,6;14,2), la vocazione di Israele è quella di essere il popolo di Dio. Uno dei motivi di questa particolarità riguarda il fatto che la vita (religiosa, sociale, civile, politica, e in tutti i suoi aspetti) di questo popolo è interamente regolata da un Libro. Non è invece così nelle culture e presso tutti i popoli della terra. Non c’è bisogno di codici etici o di testi sacri che definiscono la vera religione, poiché c’è spazio per qualunque dottrina e ci sono templi per ogni divinità. Nelle religioni sincretistiche del tempo, tutto può essere creduto, tutto è ammesso, niente è proibito. Nelle religioni politeistiche del mondo antico, i libri non hanno nessuna importanza, non svolgono alcun ruolo. Non è così per Israele. In Israele il culto all’unico vero Dio è comandato e definito dal Libro. Israele ha la coscienza che questo Libro (o insieme di libri) proviene da Dio per mezzo di Mosè e dei profeti. È Dio che parla e si rivela nel Libro. Il giudaismo coevo a Gesù non si scosta affatto da questa credenza, anzi la enfatizza ancora di più, per questo riceve e trasmette i libri di Mosè e dei profeti come Testi Sacri o Sacre Scritture. Persino nella diaspora, gli ebrei del I secolo hanno copie delle Sacre Scritture, che leggono regolarmente ogni sabato (Atti 15,21 in tutte le sinagoghe del Mediterraneo e nelle città dove si trovano dispersi.


Gesù stesso, nei vangeli, ha in grande considerazione la Scrittura: la cita, la commenta, la vive, ne adempie le profezie, la porta a compimento. Tra le formule più frequenti del suo insegnamento troviamo “Sta scritto”, oppure “Così dice la Scrittura”. Queste espressioni dicono l’importanza che Mosè e i profeti (i libri dell’Antico Testamento) hanno per Gesù, motivo per cui egli richiama i suoi ascoltatori all’insegnamento e all’ubbidienza delle Scritture: “La Scrittura non può essere annullata” (Giovanni 10,35). Non c’è nei vangeli nessuno scontro con i giudei sull’esistenza delle Scritture e sulla funzione che hanno. Su questo c’è concordia. Semmai le questioni riguardano il modo come osservarle, le varie interpretazioni che sono date, il ruolo delle tradizioni dei padri.


I primi discepoli di Gesù, tutti ebrei, hanno da sempre l’idea del canone, sono nati e cresciuti con il canone, vale a dire con la coscienza che esista un insieme di libri che costituiscono le Scritture. Essi riconoscono piena autorità ai libri dell’Antico Testamento, non pensano minimamente di metterli in discussione. Fin dal principio i discepoli sanno che esiste un canone di testi sacri: lo sanno perché sono ebrei, lo sanno dall’insegnamento che apprendono dal Maestro. Ben presto però essi prendono coscienza del fatto che accanto alle Scritture si pone l’autorità di Gesù. Nel cosiddetto “discorso sulle antitesi”, Gesù afferma più volte: “Avete udito che fu detto, ma io vi dico” (Matteo 5). Nelle controversie con i giudei sul sabato, egli afferma di essere il Signore del sabato, sebbene comandato nel Decalogo. In merito al divorzio, il suo insegnamento va oltre le prescrizione del Deuteronomio.


Le prime comunità non inventano il canone dell’Antico Testamento, ma lo ereditano dagli ebrei e dai discepoli e apostoli di Gesù. L’idea di avere un canone non nasce da una esigenza della chiesa, ma è un dato di fatto presupposto. Il canone dell’Antico Testamento, vale a dire l’esistenza di un insieme di libri sacri, precede la nascita della chiesa. Gli scritti dell’Antico Testamento vengono letti e commentati dalle chiese come Scritture o Scritti Sacri (2 Timoteo 3,15-17) nelle assemblee pubbliche e in privato. Ma accanto ad esse si pone da subito, sin dal principio, l’insegnamento di Gesù e su Gesù, quello che poi diventa il Vangelo, che inizialmente si trasmette in forma orale tramite il racconto dei testimoni e discepoli e poi messo per iscritto dagli stessi. Nascono anche le lettere degli apostoli come istruzioni per le comunità. Non solo i vangeli, ma pure le lettere sono da considerare “lettere pubbliche”, non private, ne è prova il fatto che Paolo, ad esempio, scrive in quanto apostolo di Cristo, e pertanto rivendica autorità e ascolto da parte delle chiese. Sia Paolo che Pietro chiamano Scrittura gli scritti degli apostoli (vangeli e lettere) al pari dell’Antico Testamento (1 Timoteo 5,18-19; 2 Pietro 3,16). È così che ben presto le chiese prendono coscienza che oltre al canone dell’Antico Testamento c’è un corpus di scritti sacri che costituiscono il canone del Nuovo Testamento, e l’uno e l’altro insieme formano la Bibbia.

Paolo Mirabelli

07 aprile 2016

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.