Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Lo studio sul canone biblico è complesso ma affascinante. Solitamente è trattato in maniera ampia nei manuali di introduzione alla Bibbia. In questo breve articolo mi soffermo soltanto su un aspetto: il ruolo che le chiese hanno avuto nella formazione del canone del Nuovo Testamento e il criterio adottato per il riconoscimento dei libri canonici. Il motivo? Il tema è stato oggetto di discussione nei giorni scorsi tra alcuni cristiani. Dopo poche parole introduttive, entrerò in tema. Non entro in tutto il percorso storico del canone del Nuovo Testamento, che va dalla fine del I secolo al terzo concilio di Cartagine del 397; concilio/sinodo che stabilisce che soltanto gli scritti canonici, vale a dire i 27 libri del Nuovo Testamento, possono essere letti nelle chiese come “Scritture divine”. Nel mio modesto contributo mi soffermo soltanto su alcune cose attinenti la discussione ancora in corso.


La Bibbia è divisa in due grandi parti: Antico e Nuovo Testamento. Gesù, con la sua autorità, è colui che accredita in maniera retrospettiva l’Antico Testamento: lo cita, lo commenta, lo vive, lo adempie. Ma Gesù è pure colui che accredita il Nuovo Testamento prospettivamente: sceglie i discepoli, li tiene con sé, li istruisce, li manda a predicare, affida loro il mandato. Promette agli apostoli lo Spirito Santo con la funzione di: insegnare, ricordare, guidare, annunziare (Giovanni 14,26; 16,13). E gli apostoli e i discepoli, guidati dallo Spirito Santo, predicano l’evangelo di Cristo, inizialmente in forma orale e in seguito lo trasmettono per iscritto. Ben presto, accanto all’Antico Testamento si pongono i vangeli e le lettere. L’ispirazione degli scritti apostolici, e dunque la loro canonicità, è attestata nel Nuovo Testamento stesso: Paolo afferma che i suoi scritti sono comandamenti del Signore (1 Corinzi 14,37) e la sua predicazione parola di Dio (1 Tessalonicesi 2,13), non parola degli uomini; invita a ritenere gli insegnamenti trasmessi “sia con la parola, sia con una nostra epistola” (2 Tessalonicesi 2,15. E la seconda lettera di Pietro chiama “Scritture” le lettere di Paolo al pari dell’Antico Testamento (2 Pietro 3,15-16).


Come qualcuno ha giustamente fatto osservare, il canone non è una lista di libri scritti dagli ebrei e dai cristiani, bensì è una lista o un insieme di libri ispirati da Dio dati agli ebrei e ai cristiani. È l’ispirazione di un libro che ne determina la sua canonicità. L’Antico Testamento è stato ricevuto e trasmesso dal popolo di Dio. Paolo, nella lettera ai Romani, parlando del ruolo d’Israele, afferma che Dio ha affidato agli ebrei i suoi oracoli (3,2). Dopo l’avvento del cristianesimo, i cristiani conservarono e trasmisero tutte le Scritture, Antico e Nuovo Testamento. Ma quale ruolo hanno avuto le chiese nella formazione del canone del Nuovo Testamento? Innanzi tutto va detto che non c’è una chiesa che ha presieduto alla formazione del canone: Roma ha avuto un ruolo al pari delle altre. Nelle diverse regioni del Mediterraneo le chiese si preoccuparono di fissare l’elenco dei libri canonici per almeno due ragioni: la prima, rimanere fedeli alla dottrina insegnata e trasmessa dagli apostoli e dai discepoli di Gesù, e non lasciarsi così sconvolgere la mente da strane dottrine e tradizioni orali eterodosse; la seconda, legata alla precedente, far fronte agli eretici e agli gnostici. Oltre a ciò, nei primi secoli c’è tutto un movimento di scrittura e una produzione di letteratura sterminata di cui bisogna tener conto. Ecco una brevissima sintesi. C’è la pseudo epigrafia: spacciare come apostolico uno scritto che non lo è; già nel Nuovo Testamento c’è traccia di questo fenomeno (2 Tessalonicesi 2,2). Circolano poi molti scritti su Gesù, alcuni incompleti o parziali, come il Prologo di Luca ci informa (1,1-4). Ci sono i vangeli apocrifi, come ad esempio il Vangelo secondo Tommaso. Accanto agli scritti degli apostoli ci sono poi scritti di cristiani ritenuti edificanti, come ad esempio la Didachè o la Lettera di Barnaba. C’è tutta la letterature degli eretici e degli gnostici. Infine gli apocrifi e molti altri scritti ancora. Le chiese allora cominciano a discutere su quali libri appartengono al canone e quali no. In questo processo di riconoscimento stabiliscono dei criteri, come quello dell’apostolicità di uno scritto. La cosa che ora però mi preme affermare e che trovo molto interessante è che le chiese non hanno usato il criterio: “mettiamo tutto dentro”, cosa che avrebbe accontentato tutti e sarebbe stata facile da fare, bensì hanno usato il criterio: “riconosciamo come canonici soltanto quei libri di cui tutti siamo certi che abbiano una provenienza apostolica e siano ispirati da Dio”. Tommaso no, Matteo sì.

Paolo Mirabelli

22 marzo 2016

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.