Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Era nato nei primi anni del Novecento, il secolo breve. Si chiamava Rosario ed era basso di statura, e questo faceva ricordare il Zaccheo dei vangeli, che, impedito dalle folle perché piccolo di statura, salì su un albero di sicomoro per poter vedere Gesù che passava per quella via. La sua era una famiglia povera. Come tante nel paese. Egli non possedeva proprietà, campi e animali. Ma viveva onestamente. Faceva alcune giornate durante l’anno come salariato. Si offriva a pascolare le greggi degli altri, e portava a casa latte e formaggio. Raccoglieva ciò che restava dopo la mietitura. Pere, mele, fichi, castagne, uva, olive e altri prodotti della terra non mancavano mai in casa sua. In quel tempo le campagne producevano abbondanza di beni per il nutrimento degli uomini e degli animali. Rosario apparteneva ad una generazione e ad un tempo che non esistono più. Un mondo rurale fatto di semplicità e di poche cose, ma dove ancora la condivisione e il rispetto dell’altro erano praticati come un dovere. Uomini e donne di campagna, dediti alla pastorizia e all’agricoltura. Dopo di loro abbiamo avuto la generazione degli operai: gente che imparava un mestiere per fare un lavoro artigianale o per avere un posto in fabbrica. Oggi non ci sono più i pastori e i contadini come una volta, o almeno sono ridotti a pochi. L’agricoltura e la pastorizia hanno subito l’industrializzazione. Le fabbriche chiudono per aprire dove la manodopera costa meno, dove ancora non ci sono norme che tutelano i diritti dei lavoratori. Tutto è motivato dall’interesse economico. Quando il Signore istituì l’anno giubilare, stabilì che “Se uno dei vostri diventa povero e si vende a te, non lo farai servire come uno schiavo; starà da te come un lavoratore, come un ospite; ti servirà fino all’anno del giubileo; allora se ne andrà via da te” (Levitico 25,39-41). La motivazione: Israele era un popolo liberato da Dio dalla schiavitù dell’Egitto e aveva ricevuto una legge per mezzo di Mosè che tutelava la libertà di tutti come fratelli. Nessuno poteva rendere schiavo un uomo che Dio aveva reso libero. L’unica servitù che Israele conosceva era servire il Signore (Levitico 25,42-43). Purtroppo però non sempre Israele si è attenuto a questa prescrizione divina. Geremia denuncia il caso di coloro, la classe alta di Gerusalemme, che avevano schiavizzato i loro fratelli e che nell’anno sabbatico li avevano rimandati in libertà, proclamando l’emancipazione, ma in seguito li avevano assoggettati nuovamente in schiavitù, venendo così meno al patto con Dio (Geremia 34,9-16). È una storia questa che si ripete: quanti diritti, conquistati con fatica, sono stati tolti oggi ai lavoratori? Ed è ancora più grave se chi assoggetta qualcuno in schiavitù dice di essere un “cristiano”. Ciò significa profanare il buon nome di Dio, dando cattiva testimonianza tra i “pagani”. Geremia annuncia al popolo che Dio non ci sta, il Signore non sopporta una tale ingiustizia, non tollera che il suo patto venga infranto in maniera spudorata. Ed ecco che allora proclama “l’emancipazione dei trasgressori”, perché vadano incontro alla guerra, alla malattia, alla fame, e siano agitati per la terra (Geremia 34,17). Sono queste le amare conseguenze della disubbidienza. E mi domando se l’attuale situazione di instabilità non sia legata in qualche modo alla ingiusta e immotivata violazione dei diritti dell’uomo. La crisi economica che abbiamo dovuto subire, a motivo della speculazione, e l’evidente agitazione che colpisce le nostre società non sono sintomo di un malessere spirituale? Non dicono forse che il patto con Dio, il prossimo e il mondo/creato sia stato rotto? Spezzato come un vaso, e i cocci sparsi ovunque. Per quanti in Israele vivevano la condizione di schiavitù, l’attesa di una nuova liberazione nel futuro serviva a caricare il presente di speranza, quella speranza che gli era stata tolta da coloro che li avevano incarcerati in un presente senza futuro. Ma chi tutela oggi l’uomo dalle prevaricazioni di gente avida di guadagno e senza scrupoli? L’istituzione dell’anno sabatico e del giubileo, con il riposo e il riscatto della terra e la liberazione degli schiavi, dovrebbe diventare l’orizzonte di riferimento su cui costruire una giustizia sociale e il rispetto per la terra che Dio ha creata perché noi l’abitassimo. Rosario ha avuto una vita difficile perché ha dovuto subire con la sua famiglia ben due guerre. E come lui in tanti nel paese. Eppure egli in quel mondo contadino che viveva della provvidenza di Dio ha trovato le ragioni della sua forza, del suo andare sempre avanti, nella speranza che Dio ha in serbo qualcosa di meglio. E a chi gli chiedeva “perché credi?”, egli rispondeva: “Credo in Dio perché ci ha dato tutto ciò che ci serve, credo perché il frutto del limone ha un sapore diverso da quello dell’arancio”.

Paolo Mirabelli

11 dicembre 2015

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.