Il patto e il culto, l’Esodo e il Levitico. Il Signore libera Israele dall’Egitto e lo conduce attraverso il deserto nella terra promessa. Un cammino fatto di tappe. Il libro dell’Esodo racconta le prime tappe di quel cammino. Al Sinai, il Signore dà a Mosè il Decalogo (le dieci parole) e le leggi. Capitoli 20 fino a 24 del libro dell’Esodo. Nel capitolo 25 Dio chiede a Mosè di dire al popolo di costruire un santuario perché egli vuole abitare in mezzo a loro. Sul Sinai il Signore dà a Mosè il modello per la costruzione del tabernacolo. Ma la costruzione del vitello d’oro da parte del popolo rompe l’armonia che c’è in questi capitoli ed è in contrapposizione con il tabernacolo, la santa dimora di Dio. Dopo il grave peccato di apostasia del popolo, a Mosè viene concessa la grazia di vedere Dio, ma solo di “dietro” (33,21-23). Una immagine questa che dice pure che il Dio d’Israele è un Dio in cammino, che lo si può vedere di spalle perché sta alla testa del suo popolo. La presenza di Dio non è mai statica, è sempre in movimento. Il tabernacolo infatti è chiamato anche “tenda di convegno”, “tenda di incontro” (33,7). Inoltre, Dio è presente soltanto quando la nuvola (la gloria) è sul tabernacolo. Dunque, la presenza di Dio è sempre un dono. Il libro dell’Esodo si conclude con la costruzione del tabernacolo completata: “Mosè completò l’opera” (40,33). Un richiamo all’opera di Dio alla creazione (Genesi 2,1-2). Il libro del Levitico inizia con il Signore che chiama e parla a Mosè dalla tenda di convegno (1,1). Tale formula è usata tre volte in precedenza: in Esodo 3 quando il Signore parla a Mosè e gli rivela il suo nome dal roveto ardente; in Esodo 19,3 quando chiama Mosè dal Sinai e gli dà il Decalogo; in Esodo 24,16 quando Dio chiama Mosè dalla nuvola e gli dà le regole per la costruzione del tabernacolo. Il Levitico è la parola di Dio che proviene dal santuario. Il libro è strutturato sostanzialmente in due parti: nella prima parte si dice la rimozione del peccato (capitoli 1.16); nella seconda la relazione santa con Dio e con gli uomini (capitoli 17-26). La presenza di Dio in mezzo al popolo comporta la chiamata alla santità: il popolo è chiamato a vivere “di fronte a Dio”. Il concetto di santità è alla base di tutto il libro, che, possiamo dire, raggiunge il suo apice in Levitico 19,2: “Siate santi, perché io, il Signore vostro Dio, sono santo”. Il primo dei sacrifici è il “qorban”, vale a dire il dono, le traduzioni italiane di solito hanno “offerta” (1,2). È il dono che permette di avvicinarsi al Dio santo. Dunque la motivazione iniziale per avvicinarsi a Dio è la gioia, non l’obbligo, la costrizione o la paura. In ogni sacrificio avviene una trasformazione e una significazione che ha come risultato finale un “profumo di soave odore” che sale a Dio. È in questo processo in divenire, in questa trasformazione da una situazione iniziale a una finale che bisogna cogliere il significato del sacrificio. Le dieci “torot” (plurale di Torah), contenute nei capitoli da 6 a 14, costituiscono una specie di “decalogo di santità”. Quando i sacrifici hanno inizio, il fuoco viene acceso per la prima volta sull’altare da Dio stesso (9,24). Segno della costante presenza di Dio e della sua approvazione. Il “Tamid” (tradotto in italiano con degli avverbi: “sempre, continuamente”), il termine appare per la prima volta in 6,6 e 6,13, è l’“esegesi” (la spiegazione) nel tempo di quel fuoco. Il Tamid sembra inoltre richiamare e riproporre l’ordine stabilito da Dio nella creazione. Non va dimenticato che secondo la Bibbia il peccato si espande e corrompe ogni cosa: l’uomo e persino la creazione stessa. In Genesi 1, ogni atto creativo è scandito con una annotazione di tempo: “fu sera, fu mattino”. In Levitico il Tamid sembra avere la stessa scansione temporale. È come se il Tamid richiamasse nel tempo la necessità di ristabilire quell’ordine o armonia iniziale, perché tutto torni ad essere “buono” come nella creazione. Così Esodo parla del patto e Levitico del culto, e questo fa di Israele una “comunità pattuale” e una “comunità di culto”, una comunità che vive del patto e del culto.