Come conclusione del discorso in parabole, troviamo nel vangelo di Matteo la breve ma intensa parabola dello scriba che viene ammaestrato per il regno, che diventa discepolo (13,52). Gli scribi, insieme ai sacerdoti e ai farisei, rappresentano in Matteo una categoria di persone che sono menzionati molte volte in modo negativo e polemico, in quanto incapaci di comprendere la novità recata dal messaggio di Gesù. Solo qui e in Matteo 23,34 - “Perciò ecco, io vi mando dei profeti, dei saggi e degli scribi; di questi, alcuni ne ucciderete e metterete in croce; altri ne flagellerete nelle vostre sinagoghe e li perseguiterete di città in città” - vengono visti in senso positivo. Ma nel nostro testo si dice chiaramente che si tratta di uno scriba che diventa “discepolo del regno dei cieli”. Così il riscatto della sua figura avviene attraverso il suo superamento, per ribadire che il vero scriba è ormai colui che si fa discepolo, forse in analogia con quanto detto in Matteo 11,11. Se lo scriba offre qui un modello positivo, che si può adattare al discepolo, è in forza di una qualità che gli è riconosciuta come caratteristica: la riflessione sui testi antichi, che può essere integrata con il compimento recato da Gesù. E così, nello stesso tempo, si sottolinea un elemento di continuità tra l’antica e la nuova economia della salvezza in armonia con quanto detto in Matteo 5,17, “Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento”. Di un tale atteggiamento si ha un esempio significativo proprio nelle parabole. Questo detto sullo scriba-discepolo suggella per Matteo tutto il suo capitolo sulle parabole del regno, quasi a voler suggerire l’analogia che c’è tra il procedimento del discorso in parabole e l’attività esegetica dello scriba, che diventa feconda quando non si cristallizza sul passato, ma si apre agli orizzonti dischiusi dalla nuova rivelazione di Dio in Gesù Cristo. Lo scriba che diventa discepolo del regno dei cieli non contrappone l’Antico e il Nuovo Testamento, bensì, dice Gesù, sa trarre fuori dal suo tesoro cose nuove e cose antiche, sa mettere insieme l’antico e il nuovo. Lo scriba che diventa discepolo non è manicheo: non elimina l’antico a esclusivo favore del nuovo, e non resta ostinatamente attaccato all’antico per timore del nuovo, ma fa del nuovo la spiegazione e il compimento dell’antico e dell’antico il fondamento del nuovo.