Il racconto della passione di Gesù secondo Giovanni è diverso, per certi aspetti, da quello dei sinottici, diverso ma complementare. E questa diversità e particolarità di Giovanni ci consentono di leggere in termini positivi la passione e la morte in croce di Cristo, che di per sé sono eventi negativi. Entriamo in tema. Il quarto evangelista ricorda solo occasionalmente i patimenti di Gesù. Egli descrive piuttosto il suo cammino trionfale verso la gloria, quella gloria che gli apparteneva “prima che il mondo fosse” (17, 5). Nel Getsemani Gesù si erge contro i suoi avversari fiaccandoli a terra. Un’intera corte e le guardie dei giudei indietreggiano e finiscono a terra quando egli dice: “Sono io” (18,6). Il processo davanti ad Anna e Caifa prima (18,18-24) e Pilato poi (18, 28-40) è sostenuto da Gesù dignitosamente. Egli sembra il giudice più che l’imputato. Pur incatenato, è sempre a testa alta di fronte agli accusatori e alle accuse. Non ha paura di rispondere al sommo sacerdote, e non teme di reagire contro il servo che ingiustamente lo schiaffeggia. L’interrogatorio da parte di Pilato mette in evidenza la sua innocenza e supremazia sul giudice e sugli accusatori. Egli è re, anzi è nato per regnare, e ha un regno che non è di questo mondo. Persino lo scherno dei soldati, con la corona di spine e il mantello di porpora, non fa che accentuare la regalità di Gesù. Non solo egli è re, ma è anche la verità, e chiede di essere ascoltato. Quando Pilato gli dice di avere il potere di liberarlo o di crocifiggerlo, Gesù, per nulla intimorito, gli risponde che tale autorità gli è data dall’alto (19, 11). La scena centrale del racconto della passione di Giovanni è quando Pilato fa uscire Gesù dall’interno del pretorio e, alla vista di tutto il popolo, pronuncia le famose parole: “Ecco l’uomo!” (19, 14), a noi meglio note in latino: “Ecce Homo”. Pilato senza altro non si rende conto che così facendo, come un araldo in forma profetica, sta confessando la messianicità di Gesù, dopo aver riconosciuto la sua innocenza: “Io non trovo in lui colpa alcuna” (19, 6). Non solo non c’è alcuna condanna sul suo conto, ma c’è il pubblico riconoscimento della sua reale dignità da parte di colui che meno te l’aspetti, Pilato. Possiamo dunque concludere questa breve riflessione con le parole stesse di Gesù: “Nessuno mi toglie la vita, ma la depongo da me” (10,18).