Bibbiaoggi
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Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Del profeta Ezechiele si parla molto nel libro ma disponiamo di pochi dati biografici: sappiamo che è di famiglia sacerdotale (figlio di Buzi) ed è sposato, ma la moglie muore quando Gerusalemme è assediata e poi distrutta. I numerosi riferimenti cronologici presenti nel libro ritraggono il profeta tra i deportati, in esilio a Babilonia, nel paese dei Caldei, sulle rive del fiume Chebar. Lo spartiacque dell’attività profetica di Ezechiele è la caduta di Gerusalemme, che Ezechiele, a differenza di altri profeti, vive in prima persona tale dramma. In terra di esilio, durante la deportazione, un fuggiasco di Gerusalemme reca la notizia al profeta: “La città è presa!” (33,21). Come può Gerusalemme cadere e il tempio essere distrutto, se Dio vi dimora? La risposta: il Signore ha abbandonato la città e il tempio, il profeta vede infatti la gloria (kabod) di Dio lasciare la città.


Il libro di Ezechiele, a differenza di altri libri profetici della Bibbia, si struttura seguendo la vita stessa del profeta, la sua cronologia, tanto da apparire come una biografia di Ezechiele. Numerosi sono, infatti, i riferimenti biografici. Tuttavia, il profeta è presente ma rimane completamente sullo sfondo: a dominare il libro è l’agire e il parlare di Dio. E allora il libro, che appare come un racconto in prima persona, non fa conoscere e non rivela quasi niente del profeta stesso, dei suoi pensieri e sentimenti. Persino alla morte della moglie amata il lettore non viene a conoscere il lamento del profeta, ma solo il suo “silenzio”. Il vero tema del libro di Ezechiele è dunque ciò che Dio dice e fa, sono le visioni e gli oracoli. Il libro parla di come “in quel luogo la mano del Signore fu sopra di lui” (1,3). È l’opera di Dio che i profeti e i predicatori devono annunciare, non mettere se stessi al centro della predicazione.


Sono quattro le grandi visioni che il Signore fa conoscere al profeta, ma il libro di Ezechiele si può articolare in tre parti: oracoli di giudizio contro Israele (1-24); oracoli di giudizio contro le nazioni (25-32); oracoli di salvezza per Israele (33-48). Il nostro brano si colloca nella prima parte del libro. Frammisti tra i discorsi di Ezechiele 12-24 non mancano i racconti allegorici: il legno della vite che serve soltanto per il fuoco, non se ne può fare altro uso (15); la sposa infedele (16); l’aquila e il cedro (17); le due sorelle infedeli (23). Queste allegorie si riferiscono a Giuda, oppure a tutta la storia d’Israele in genere: esodo, alleanza, monarchia, rapporti con i regni vicini, fine del regno di Giuda. Se è vero che i profeti d’Israele sono anche poeti, in Ezechiele c’è l’impressione che lui ne sia più consapevole degli altri: il profeta è come una canzone d’amore di uno che ha una bella voce e suona bene (33,30-33).


Il nostro brano, dallo stile poetico, conclude un oracolo di giudizio rivolto contro il re Sedecia, re di Giuda e di Gerusalemme. L’oracolo risale forse a un’epoca anteriore e spiega il motivo per cui il re, avendo infranto il suo patto, ha fatto “bancarotta”, totale fallimento nella sua politica. Ma di fatto la minaccia (17,1-21) si risolve in una prospettiva di salvezza: l’una e l’altra si corrispondono, come immagini speculari. Parola di condanna e parola di salvezza sono presentate tramite una allegoria: l’immagine dell’albero. Simbolo antichissimo quello dell’albero: esso rappresenta il mondo (albero del mondo), le divinità (piante verdi sulle alture cultuali condannate dai profeti), la vita (l’albero della vita come in Genesi 2), l’uomo stesso (l’albero piantato lungo i corsi d’acque come nel Salmo 1,3), il re (Daniele 4), il potere (Giudici 9,7-13).


Nella parola di salvezza, il Signore si comporta come un contadino, come un giardiniere: dalla cima di un albero molto vecchio (un cedro che sim­boleggia la dinastia di Davide) coglie un ramoscello e lo innesta su una pianta più giovane. Dio giardiniere è immagine del Dio creatore, che nel principio del mondo piantò un giardino in Eden (Genesi 2,8). L’allegoria esprime così la realtà della fine e della continuità: fine, in quanto l’antica dinastia regale non ci sarà più; continuità, in quanto essa sopravvivrà, anche se sotto altra forma, nel nuovo germoglio. Il cedro si trova su di un alto monte, vale a dire, al tempo stesso, il mondo ed il colle di Sion, stagliandosi al di sopra di tutti gli altri alberi, nel senso che è più grande e nobile di tutte le altre famiglie regali del mondo. Quest’albero avrà dimensioni tali da offrire spazio vitale (ombra) e alimento a molti altri esseri viventi. È un bel tratto allegorico, che si ritrova nel vangelo di Matteo (13,31-32), che paragona il regno di Dio o regno dei cieli al grande albero annunciato nella parola di salvezza del profeta Ezechiele.

Paolo Mirabelli

19 febbraio 2022

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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