Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Alla fine del suo discorso agli anziani di Efeso, l’apostolo Paolo cita un detto in forma di massima attribuita a Gesù: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Nel testo greco la beatitudine è applicata a una azione, a un verbo, e non a una persona: “Beato è il dare più che il ricevere”; la frase infatti ha due infiniti “dare” (didonai) e “ricevere” (lambanein) e la beatitudine si riferisce all’azione del dare; ma è chiaro che chi dà e chi riceve sono delle persone, perciò il senso della frase non cambia. Paolo non è solito nelle sue lettere citare Gesù; non lo fa spesso, anzi sono rari i casi di citazioni di detti di Gesù: 1 Corinzi 7,10; 9,14; 1 Timoteo 5,18. Perciò la prima domanda che questa beatitudine suscita è legata alla sua origine: viene dal Signore o no? C’è poi chi si pone un’altra domanda: è una parola del Signore, un detto autentico di Gesù, o un proverbio greco di Tucidide? Infine c’è la domanda del lettore attento della Bibbia, il quale non ricorda di aver letto nei vangeli questa massima, che si chiede: dove è scritta questa parola di Gesù?


Non c’è dubbio che Paolo, scrittore ispirato dallo Spirito Santo, abbia citato Gesù, il testo biblico lo dice chiaramente: è il Signore Gesù che disse queste parole. La fonte o l’origine del detto è dunque il Signore. Non c’è nessun errore: né da parte di Paolo che cita queste parole di Gesù agli anziani di Efeso, né da parte di Luca che ha scritto gli Atti degli Apostoli (e il vangelo di Luca). È vero che in Tucidide c’è una locuzione proverbiale simile a questa, ma la formula di Tucidide è l’opposto di quella di Paolo. Non stupisce nemmeno che Paolo possa citare nei suoi discorsi filosofi o proverbi greci per sostenere alcune sue affermazioni: lo fa ad Atene, citando gli epicurei; lo fa nella lettera a Tito, citando un poeta cretese. Non si tratta dunque di “un proverbio greco cristianizzato”, perché la fonte o l’origine del detto citato da Paolo è Gesù; e il Signore non era solito citare i proverbi greci nel suo insegnamento alle folle e ai discepoli, semmai citava le Scritture o i proverbi e le massime dei rabbini ebrei.  Al lettore della Bibbia bisogna ricordare che il Vangelo di Cristo (la vita, le opere e gli insegnamenti di Gesù) è stato inizialmente trasmesso oralmente e solo in seguito, dopo qualche decennio, messo per iscritto. La conversione di Paolo è collocata agli inizi della predicazione degli apostoli e la sua morte prima della distruzione di Gerusalemme: perciò quando Paolo predicava o scriveva le lettere alle chiese, il Vangelo era trasmesso sia oralmente sia per iscritto. Paolo non è un autore del II secolo, quando ormai gli apostoli e i testimoni oculari erano tutti morti e il Vangelo era trasmesso solo in forma scritta. Paolo è un apostolo (anche se non un testimone oculare) del Cristo risorto che ha contribuito a trasmetterci le parole e i detti di Gesù, è uno degli autori del Vangelo di Cristo. Perciò bisogna rendersi conto che ciò che alcuni biblisti chiamano agraphon (“un detto non scritto di Gesù ma ereditato dalla tradizione”), in realtà è un detto di Gesù non scritto nei quattro vangeli, ma scritto nel Nuovo Testamento da un autore ispirato come Paolo.


Nel chiudere il suo discorso Paolo giustifica il suo comportamento dicendo che egli non ha chiesto nulla in cambio della predicazione, anzi ha provveduto con le sue mani al suo sostegno e a quello dei suoi collaboratori, e cita il detto di Gesù per dare autorevolezza e fondamento al suo modo di fare: questa scelta di Paolo è fondata sull’insegnamento e sul modo di agire di Gesù stesso, che è vissuto all’insegna del dono. Usando il termine “beato”, Paolo: riconduce il tema nell’alveo delle beatitudini bibliche; mette in parallelo il detto citato con i tanti macarismi (beatitudini) di Gesù nei vangeli; pone in relazione il detto con la teologia e la cristologia del Nuovo Testamento. Il detto che Paolo cita è come una sintesi della vita stessa di Gesù e del suo insegnamento. Nell’episodio della povera vedova dei vangeli, Gesù esalta il dono della donna che dà nella cassa delle offerte tutto ciò che aveva per vivere. Luca nel vangelo mette in parallelo il dono della vedova con il dono che Gesù fa della sua vita (21,1-4). Nella seconda lettera ai Corinzi Paolo fa esplicito riferimento al dono che Gesù ha fatto di sé: era ricco e si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (8,9). Ora se riprendiamo il discorso di Paolo agli anziani notiamo che egli, prima di citare il detto di Gesù, parla della necessità di “venire in aiuto ai deboli” (20,35). E altrove dice: “Con i deboli mi sono fatto debole, per guadagnare i deboli” (1 Corinzi 9,22). Egli giustifica così il suo agire perché fatto a imitazione di Cristo. Si capisce allora perché Paolo conclude il suo discorso agli anziani di Efeso citando il detto di Gesù: “C’è più gioia nel dare che nel ricevere”.

Paolo Mirabelli

18 febbraio 2022

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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