Uno dei tanti insegnamenti che il libro di Giona ci dà è che la predicazione ha successo nonostante il predicatore. Dio chiama Giona e lo manda a predicare a Ninive, la grande città, ma già all’inizio Giona fugge lontano dal Signore; e non è l’unico: anche il Geremia delle confessioni e l’Elia sceso dal monte Carmelo vorrebbero fuggire. Si fa prendere dall’ira quando la sua missione ha successo, fino a desiderare la morte, e si deprime a causa della pianta di ricino quando il Signore la fa seccare. Quando per la prima volta nel libro udiamo il contenuto della sua predicazione, Giona dice: “Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta”. Non sembra l’annuncio di una buona notizia per i niniviti, eppure l’intera città si converte: viene bandito un digiuno che coinvolge tutti, il re, coperto di sacco e seduto sulla cenere, il popolo e persino gli animali. Il Signore ha misericordia della città e non la distrugge. Ecco, Giona è uno dei tanti esempi che mostra come l’efficacia della Parola di Dio, quando è ascoltata e creduta, vada oltre il predicatore stesso. Come l’acqua del fiume che non ha bisogno di essere spinta con le nostre mani per scorrere e arrivare al mare, ma va da sé, così è della Parola di Dio. Lutero aveva colto nel segno quando diceva che il predicatore, dopo aver predicato, può tornare a bere un boccale di birra, poiché non può fare altro. In Isaia il Signore dice che la sua Parola, uscita dalla sua bocca, non torna a vuoto, non è inefficace, ma compie ciò che Dio vuole e conduce a buon fine ciò per cui è mandata, poiché è come la pioggia e la neve che scendono dal cielo, annaffiano la terra e la rendono feconda, e danno seme al seminatore e pane da mangiare (55,10-11). Certamente che c’è bisogno di predicatori, che siano però al servizio della Parola. Gesù ci chiede di pregare perché il Padre mandi operai nella sua vigna. A Timoteo l’apostolo Paolo lascia una consegna categorica: “Predica la Parola!” (2 Timoteo 4,2).
L’efficacia della Parola dipende dal fatto che essa è Parola di Dio. Paolo scrive alla chiesa di Roma che il Vangelo è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede (Romani 1,16), e aggiunge poi che la fede viene dall’ascolto della Parola di Cristo (10,17). Giacomo afferma che la Parola ha la forza di salvare le anime nostre (1,21). Senza l’annuncio e la predicazione tutti i fatti della storia della salvezza restano sconosciuti. Quando il messaggio viene annunciato, gli ascoltatori vengono a trovarsi in una situazione di decisione: la Parola non solo informa, ma provoca, agisce e suscita una risposta da parte di chi ascolta. I vangeli registrano spesso la doppia reazione degli ascoltatori di fronte a Gesù: c’era chi restava meravigliato e glorificava Dio e chi era confuso e lo rifiutava. Per comunicare la Parola, il predicatore deve già essersi incontrato lui con essa, come i profeti ai quali è detto di prendere il libro (rotolo) e di mangiarlo (Ezechiele 2,3; Apocalisse 10,9). La Parola deve essere comunicata con amore, gioia, passione, partecipazione, senza fini di lucro, né scopi umani e mondani, tanto più che il predicatore deve dare se stesso quando predica il Vangelo. È l’esperienza di Paolo con la chiesa di Tessalonica: come una madre si prende cura dei suoi figli, così l’apostolo e gli altri avrebbero voluto dare la vita per loro (1 Tessalonicesi 2,7).
Più che di essere difesa, La Bibbia oggi esige urgentemente di essere predicata e ascoltata con fede. Purtroppo c’è tanta povertà spirituale in giro. In un paese come il nostro, l’Italia, le poche occasioni che molti hanno di ascoltare la predicazione del Vangelo sono i funerali e i matrimoni. Purtroppo la maggior parte dei “credenti” non partecipa più alle riunioni della chiesa; non comprende il valore e il significato del linguaggio biblico; rimane estraneo e indifferente di fronte a temi come la croce di Cristo, il perdono dei peccati, la conversione. Accade, inoltre, che a volte chi partecipa non capisce la sana dottrina, e questo perché il predicatore manca di una adeguata preparazione biblica: perché mancano le scuole bibliche; perché le chiese non fanno più gli studi biblici; perché si preferisce l’intrattenimento all’ascolto della Parola e alla preghiera. Non manca poi chi disprezza lo studio ed esalta l’ignoranza. Lo studio e la preparazione hanno un costo e richiedono impegno e formazione permanente. Paolo esorta Timoteo a tagliare rettamente la parola della verità (2 Timoteo 2,15). Agli anziani di Mileto ricorda di avere esposto in tre anni tutto il consiglio di Dio (Atti 20,25-31). Infine, chi predica deve sempre ricordare che egli maneggia una cosa che non è la sua: la Parola di Dio. Essa non è a nostra disposizione: siamo noi a essergli sottomessi. Paolo affida gli anziani di Mileto alla Parola (Atti 2032). È la Parola di Dio che venne su Giovanni (Luca 3,2).