Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

“L’evangelista Giovanni scrisse il suo vangelo, le lettere e l’Apocalisse in un pessimo greco”. Mi fa rabbia e mi disturba leggere giudizi come questi, il più delle volte fatti da persone incompetenti, che ignorano l’evoluzione delle lingue antiche, che si ergono a maestri, “quantunque non intendono quello che dicono, né quello che danno per certo” (1 Timoteo 1,7). Che ci siano delle differenze tra il greco classico di Atene e il greco koinè del I secolo è risaputo da tutti, ma questo non giustifica il giudizio negativo dato a Giovanni come scrittore del Nuovo Testamento, soprattutto se tale giudizio viene pronunciato da uno che si dice “cristiano”. L’aggettivo pessimo non può e non deve essere usato quando si parla di un libro della Bibbia, parola ispirata da Dio. Ci sono anche delle differenze tra il greco di Luca e il greco di Giovanni, ma il vero studioso è colui che parte da queste differenze e cerca di capirne il perché; è colui che partendo proprio da queste differenze riesce a trarre delle conclusioni sull’autore, l’ambiente, il periodo storico in cui scrisse, l’evoluzione della lingua, le fonti usate (orale o scritta), la fedeltà all’Antico Testamento. Ci sono differenze persino tra gli stessi scritti di Giovanni. Generalmente gli studiosi danno questo giudizio sul corpus giovanneo: il libro dell’Apocalisse è scritto in un greco poco elegante e più volgare, meno buono; le tre lettere in un greco sufficiente; il vangelo in un buon greco koinè ma con molti semitismi (parole ed espressioni che riflettono la cultura e la lingua ebraica).


Quando Giovanni scrisse, verso la fine del I secolo dopo Cristo, non c’era la grammatica di lingua ebraica o la grammatica di lingua greca. Le grammatiche sono delle invenzioni posteriori. La sua preoccupazione non era quella di superare l’esame di ebraico o quello di greco. Giovanni scrisse la buona notizia di Gesù nella lingua più comune e più diffusa che tutti allora parlavano e capivano: il contadino, la lavandaia, il mercante, lo scriba, il magistrato. Anche noi oggi, quando scriviamo le mail e i messaggi o dialoghiamo per strada, al lavoro, in famiglia, quando parliamo tra di noi, non usiamo il linguaggio degli avvocati, dei notai, dei medici, dei professori universitari, ma parliamo in maniera molto semplice, non certo rozza e maleducata, che tutti capiscono. Così la preoccupazione di Giovanni non era quella di scrivere un testo scolastico, ma fare in modo che il Vangelo giungesse il più possibile a tutti. Le grammatiche si evolvono come si evolve la lingua. Tutti noi oggi usiamo una certa libertà nello scrivere che non si accorda con le grammatiche; ad esempio, l’uso del “che” al posto del “sia” nelle correlative non è corretto, eppure diciamo: “è sia buono che bello”. Se si fa il confronto tra gli scritti di Giovanni e quelli di uno scrittore greco classico emergono certamente delle differenze, non solo grammaticali, ma queste sono dovute all’evoluzione della lingua e alle ragioni che si sta cercando di spiegare in questo breve articolo.


Il greco della koinè è diverso per certi aspetti dal greco classico che si studia sulle grammatiche. Nel passaggio dal greco classico alla koinè sono avvenuti dei cambiamenti linguistici e grammaticali di cui bisogna tener conto. Inoltre, essendo il greco della koinè un dialetto, possiamo ben dire che ogni regione avesse il suo di dialetto, come accade ancora oggi in Italia. E questo, sommato al fatto che ogni scrittore ha una propria personalità e una propria formazione scolastica, aiuterebbe a spiegare il perché si riscontrano delle differenze in autori dello stesso periodo che usano entrambi la stessa lingua greca. Ciò che non bisogna fare è mettere gli scritti di un autore antico contro un altro autore antico, bisogna invece valorizzarli tutti, cercando di ricavare dalle loro opere letterarie gli elementi grammaticali comuni.


Prima della conclusione torniamo al greco di Giovanni. Dire che “Giovanni scrisse in un pessimo greco” è una affermazione non solo irrispettosa del testo ispirato, ma anche errata, fatta da uno che ignora gli studi classici e la lingua greca. Facciamo tre esempi tratti dal vangelo, dai primi versetti del capitolo 18, per mostrare due cose: la prima, Giovanni conosceva bene il greco, anche se era un pescatore; la seconda, la lingua greca alla fine del I secolo si stava evolvendo verso nuove forme grammaticali più semplici, come gli scritti di Giovanni rivelano. Nel versetto 6 si dice che coloro che andarono per arrestare Gesù caddero a terra, dopo le sue parole “Io sono”: l’uso di epesan al posto epeson mostra la tendenza ad abbandonare la distinzione tra aoristo primo e aoristo secondo, come di fatto avviene nel greco moderno. Nel greco ci sono due modi per dire la compagnia: l’uso della preposizione syn più il dativo, oppure meta più il genitivo. Giovanni le conosce entrambe: nel versetto 1 si serve di syn più il dativo per dire “con i suoi discepoli”, mentre nel versetto 2 usa meta più il genitivo. Le grammatiche di greco avanzato del Nuovo Testamento dicono che negli elenchi di gruppi, oggetti o altro bisogna notare la presenza o l’assenza dell’articolo: l’articolo davanti ai gruppi, ad esempio, significa che l’autore vuole tenere separate la responsabilità dei singoli gruppi, l’assenza dell’articolo invece vuol dire che per l’autore i gruppi elencati costituiscono una unità. Nel versetto 3 Giovanni usa entrambe le forme: pone l’articolo davanti ai gruppi che andarono ad arrestare Gesù (i sacerdoti, i farisei), ma subito dopo elenca senza l’articolo gli oggetti e le armi che recarono (lanterne, torce, armi).


Dai vangeli sappiamo che Giovanni era un pescatore, assieme a suo fratello Giacomo, quando Gesù lo chiamò a diventare suo discepolo. Non aveva studiato ai piedi di Gamaliele, come Paolo; non era medico, come Luca; ma fu testimone oculare della vita e delle opere di Gesù. Ciò che i suoi occhi hanno visto, le sue orecchie udito, le sue mani toccato, lui lo ha prima annunciato oralmente e poi messo per iscritto, affinché noi potessimo credere in Gesù e avere la vita eterna, avere comunione con il Padre e il Figlio, nello Spirito. I suoi scritti hanno attraversato i secoli e ancora oggi parlano con la stessa forza dell’autore ispirato ai nostri cuori. Quando li leggiamo, non ci domandiamo se il greco da lui usato sia quello colto o quello popolare, ma ringraziamo Dio per averci dato un vangelo così bello e spirituale, delle lettere così istruttive e utili, e il libro dell’Apocalisse che svela così tanti misteri della nostra vita, perché ci rivela la presenza e l’agire di Dio nella storia.

Paolo Mirabelli

14 gennaio 2022

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.