Con il capitolo 16 è iniziata la storia in cui Saul insegue Davide e vuole ucciderlo, perché lo vede come un competitore al trono d’Israele. Davide fugge, Saul lo insegue. Soltanto dopo molti capitoli veniamo a sapere come finisce questa storia: Davide vince, Saul perde. Davide non può che vincere, perché è scelto dal Signore e a lui ubbidisce, Saul non può che perdere, perché non ascolta Dio e si mette di traverso ai propositi di Dio. Davide attende con pazienza che Dio realizzi le sue promesse, una attesa che dura diversi anni. Giacobbe invece affrettò i tempi, facendosi benedire con l’inganno dal padre Isacco al posto di Esaù. I cristiani devono sapere attendere i tempi e i momenti di Dio: il calendario del Signore è diverso dal nostro. Nel mondo i giochi di potere finiscono quasi sempre nel sangue. Per ben due volte Davide ha la possibilità di uccidere Saul, ma non lo fa, perché sa che egli è l’unto del Signore, sa che la vita del re e la sua stessa vita è preziosa. Davide non vuole prendere il posto di Saul per una sua iniziativa umana, perché aspira al potere e al regno, ma è Dio che lo vuole re d’Israele. Il capitolo 26 non è un doppione ridondante del capitolo 24, non sono due versioni parallele dello stesso episodio, seppure contengono delle somiglianze: in entrambe, per esempio, sono gli Zifei che danno le informazioni a Saul sul luogo dove si nasconde Davide. Le novità e i particolari del capitolo 26 sono tanti, come risulta dalla lettura e dallo studio del testo.
26,1-5. Saul, saputo il nascondiglio di Davide, mobilita tremila uomini per inseguirlo e catturarlo. Forse nemmeno nelle guerre contro i filistei Saul ha avuto un esercito così numeroso. Questo si svolge nel deserto di Giuda, verso il Mar Morto. Davide non lo teme, anzi gli va incontro: non cerca lo scontro in battaglia con Saul, ma vuole ancora una volta dimostrare la sua innocenza contro le accuse ingiuste che gli sono rivolte. Saul è accampato e coricato in mezzo ai suoi carri e alla sua gente. Sembra al sicuro, e invece è una facile preda per Davide.
26,6-12. Con Davide c’è pure un ittita e dei suoi parenti. Ioab e Abisai sono figli della sorella di Davide (1 Cronache 2,16). Achimelec, l’Ittita, fa venire in mente Uria, il marito di Betsabea. Gli uomini di Davide erano valorosi, fedeli e pronti a uccidere. Davide e i suoi uomini fidati andarono di notte nell’accampamento di Saul, che era coricato a terra e dormiva, e Abner e la gente di Saul gli stavano coricati intorno. Abner era il principale sostegno del partito di Saul, per la sua abilità e bravura. Abisai voleva uccidere Saul con un solo colpo, ma Davide impedì che i suoi mettessero le mani addosso all’unto del Signore. La lancia di Saul era conficcata in terra: era uso anticamente conficcare la lancia in terra come insegna della tenda o del giaciglio del re. Saul si servì spesso in passato della sua lancia come difesa e come simbolo di autorità, ma anche contro Davide, cercando di ucciderlo. Davide prese la lancia e la brocca d’acqua di Saul e andò via. Né Saul né i suoi uomini si accorsero di nulla, “perché il Signore aveva fatto cadere su di loro un sonno profondo”. Questa nota di commento ci svela il vero motivo del successo di Davide: non fu soltanto il suo coraggio o la sua astuzia che gli permisero di compiere un gesto così audace, ma il “sonno profondo mandato da Dio”. È il Signore il vero regista della storia di Davide, anche se agisce dietro le quinte. Prendere la lancia si poté fare perché un profondo sonno si era abbattuto su Saul. L’ebraico dice: “un letargo mandato da Dio”. È il sonno profondo che Adamo conobbe alla creazione di Eva, che Abramo ebbe al momento della promessa di Dio (Genesi 2,21; 15,12). Non è Saul ad essere debole e vulnerabile e Davide ad essere coraggioso, forte e fortunato, ma è Dio che è opera nella trama della storia, è Dio che sta con Davide e contro Saul.
26,13-16. Davide e i suoi si misero al riparo, a grande distanza. Davide si rivolse ad Abner, figlio di Ner, accusandolo di non aver saputo fare la guardia al suo re. Abner era il principale sostegno del partito di Saul, per la sua abilità e bravura. I sarcasmi urlati contro di lui sottolineano il valore che veniva attribuito alla persona del re, che Davide non disconosce, ne è prova il fatto che ripete per bene tre volte “il re”. Il fidato guardiano Abner meritava la morte per non aver vegliato sul suo re.
26,17-20. Ancora una volta Davide dimostra di riconoscere Saul come “re e mio signore”, non c’è in lui alcuna competizione al regno. Nel dialogo con Saul Davide ribadì la sua innocenza e rivolse tre domande al re: “Perché perseguiti il tuo servo? Che cosa ho fatto? Che male ho commesso?”. Se era Dio a volere che Davide fosse perseguitato, allora Davide era pronto a pentirsi; ma se erano gli uomini i responsabili di ciò, essi sarebbero stati maledetti da Dio, per essersi intromessi nei suoi piani, spingendo Davide lontano dalla eredità e dalla adorazione pubblica a Dio. Essere cacciati dalla terra d’Israele, infatti, significava essere mandati a servire altri dèi. Davide interpretò il suo esilio fuori da Israele come un forzato esilio lontano dal Signore, che equivaleva a “servire altri dèi”. Sentimenti simili si riscontrano in Rut (2,12) e Naaman (2 Re 5,17). La caccia spietata che Saul fece a Davide condusse Davide fuori dall’eredità del Signore, e per questa ragione Saul fu maledetto. Non vi erano santuari dedicati al Signore fuori d’Israele, per cui adorare in terra filistea significava l’idolatria. Le parole “va’ a servire gli dèi stranieri!” (servire altre divinità o ad altro dio) svelano una convinzione molto diffusa nelle religioni pagane politeistiche, e cioè che ogni paese ha la sua particolare divinità, il suo dio, e col cambiare paese si cambia anche la divinità o la religione. Ovviamente Davide non era di questa idea. Davide era un uomo che professava la sua fede nel Dio unico e che aveva una piena fiducia e dedizione a Dio. L’immagine della pulce e quella della caccia alla pernice concludono le rimostranze di Davide a Saul.
26,21-25. “Allora Saul disse”, sono le ultime parole di Saul nei riguardi di Davide che troviamo nel racconto di Samuele. Saul riconobbe, in un momento di lucidità mentale, di aver peccato e di avere agito da stolto contro Davide. Lo stolto Saul richiama lo stolto Nabal del capitolo 25. Ormai tutti sanno che chi agisce contro Davide, anzi contro Dio, è uno stolto. Davide invece era cosciente di avere agito con “fedeltà e giustizia” e che il Signore lo avrebbe ricompensato e liberato da ogni tribolazione. Saul chiese a Davide di tornare nel suo campo, ma Davide ovviamente non accolse l’invito; non si fidava più delle promesse di Saul. Alla fine anche Saul ha il presentimento che Davide riuscirà ad occupare il trono d’Israele, perché Dio lo vuole. Saul ora sa bene che il futuro di Davide è certo, perché è guidato da Dio. Saul pronunciò una benedizione finale su di Davide, ma le parole gentili di Saul non ebbero alcun effetto sulla situazione: “Davide continuò il suo cammino, e Saul tornò a casa sua”.