Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Il lago di Gennesaret è situato a nord della terra d’Israele, nella Galilea. Nel Nuovo Testamento è chiamato con nomi diversi: Mar di Galilea, Mar di Tiberiade, Lago di Gennesaret. La sua fama è dovuta senz’altro ai vangeli, perché lo fanno teatro di gran parte della vita pubblica di Gesù: dalla chiamata dei primi discepoli, che erano pescatori, alle apparizioni del Risorto sulle rive del mar di Galilea. La forma del lago richiama uno strumento musicale, il kinnor, l’arpa degli ebrei, tanto che c’è chi pensa che il nome “Gennesaret” potrebbe derivare dal nome dello strumento o dalla forma comune che hanno il lago e lo strumento. Per la sua utilità, forma e bellezza, il lago è considerato una perla d’acqua incastonata nelle alture della Galilea. C’è chi lo chiama “Il lago delle armonie”. Giuseppe Flavio, lo storico giudeo del I secolo, nel libro III de La Guerra Giudaica, lo descrive con dovizia di particolari. Dice che sulle sue sponde si producevano differenti frutti, uva e fichi, per almeno dieci mesi lungo tutto l’anno. Il lago è attraversato dal fiume Giordano, il fiume dove il Battista battezzò molte persone e lo stesso Gesù. La lunghezza del lago supera i 20 chilometri e la larghezza i 10. Caratteristiche del lago erano le sue tempeste improvvise, con forti venti e onde che superavano i 2 metri. Al tempo di Gesù il lago era una fonte abbondante di sussistenza per gli abitanti delle sue sponde. Nei vangeli il lago è teatro di ben due pesche miracolose: quella nella quale Gesù chiama i primi discepoli a diventare “pescatori d’uomini” (Luca 5,1-11); e quella nella quale Gesù risorto appare ai sette discepoli ma inizialmente non è da loro riconosciuto, soltanto dopo la pesca miracolosa appunto tutti sanno che lo sconosciuto che gli parla e gli chiede se hanno preso del pesce è il Signore (Giovanni 21,1-14).


Dopo la descrizione del lago, spostiamo alla lettura dei vangeli (i due testi appena citati di Luca 5 e Giovanni 21), torniamo indietro con la nostra mente e poniamo l’attenzione proprio su quelle due notti in cui i discepoli si recarono a pescare ma non presero nulla. Entrambi i racconti sono ricchi di insegnamenti. Sono tanti i temi trattati, ma qui ci soffermiamo soltanto sulla notte e sull’insuccesso dei discepoli. Questo racconto (non importa che siano due) di una pesca senza risultati e infruttuosa, durante tutta la notte, fino al mattino, può diventare, se vogliamo, una metafora della nostra vita, della vita di ciascuno di noi. Come i discepoli senza Gesù sperimentarono l’insuccesso nel pescare, così noi senza il Signore sperimenteremo il fallimento nella vita. O prima o poi la notte si abbatte su ognuno. La vita stessa, senza Dio, è un tendere verso la morte: quando gli occhi si chiudono e si fa buoi per sempre, e le tenebre cancellano ogni spiraglio di luce. Fa riflettere persino l’uso de verbo pescare in questo racconto, che nel testo greco è zogreo. Pescare pesci, quello che provarono a fare i discepoli durante la notte, è una attività per la morte: si uccide il pesce per potersi nutrire. Pescare uomini, o meglio diventare pescatori di uomini, è invece una attività per la vita: la predicazione del Vangelo cattura, nella “rete del regno dei cieli” (Matteo 13,47), gli uomini perduti, strappandoli dal mare, un luogo ignoto e sconosciuto, dove l’uomo non aveva il controllo.


La vita dell’uomo senza Dio è come la notte dei discepoli sul lago di Gennesaret: tanta fatica senza risultati. L’uomo si affatica tutta la vita, tutta la notte, dalla sera al mattino, ma alla fine scopre di non aver preso nulla. Tornano in mente le parole di Giobbe, quando perde tutto: “Nudo tornerò nel cuore della terra” (1,21). E nel suo triste lamento (3,1-10) Giobbe maledice la “notte” in cui è nato, una notte che ha dato vita a una vita di dolore, nella quale egli perde tutto e rimane con niente. La modalità con la quale la vita è data, dopo il peccato, fa sì che le cose vadano per il peggio, non per il meglio. Con il passare degli anni si invecchia, ci si ammala, ci si affatica di più, si diventa stanchi, e in ultimo arriva la morte. Nella preghiera di Mosè, la vita è paragonata all’erba che verdeggia e poi si secca, “e noi ce ne voliamo via” (Salmo 90). Un altro Salmo (il 49) parla degli uomini che si affaticano pensando di costruire qualcosa di stabile e duraturo sulla terra, ma è tutto vano: danno i loro nomi alle loro terre, nell’intimo del loro cuore credono che le loro case dureranno per sempre, ma alla fine non rimane niente. Dopo una lunga carriera non rimane niente. Tanta fatica e affanni non garantiscono il futuro. Quanti sogni e desideri si sono infranti nella dura realtà della vita! “Tutta la notte ci siamo affaticati, ma non abbiamo preso nulla”. In questa terribile disarmonia, quel lago a forma di arpa (kinnor) ci ricorda che Dio in Gesù intende dare armonia alla nostra vita.

Paolo Mirabelli

28 ottobre 2021

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.