La parola “messia” deriva dall’ebraico “mashiah” che significa “colui che ha ricevuto l’unzione”. In greco e in latino si presenta nella forma “messias”. Dal punto di vista linguistico il vocabolo nasce dalla trascrizione del termine ebraico nel cosiddetto “stato determinato”. Si tratta di un aggettivo verbale passivo, collegato con la radice “msh” che esprime l’unzione. In origine il messia è colui che è stato unto con olio: è usato in occasione della consacrazione sacerdotale (Esodo 29,7) e della consacrazione regale (1 Samuele 10,1). Come spiega il Nuovo Testamento le uniche due volte che il termine compare (Giovanni 1,42; 4,25), messia corrisponde al greco “christos”, che significa “unto o consacrato”. Per l’unanime testimonianza del Nuovo Testamento Gesù è il Messia.
“Messianismo” (sostantivo maschile) è un derivato da “messia”. Il messianismo è oggi largamente usato per indicare: una visione del mondo incentrata sull’attesa di un messia; un mutamento radicale nella situazione umana; un rinnovamento e una trasformazione della società; una vera e propria “liberazione”. La letteratura intertestamentaria (gli scritti tra l’Antico e il Nuovo Testamento) e i rabbini hanno contribuito notevolmente a creare il pensiero giudaico secondo il quale il messia è da intendere come il futuro liberatore d’Israele. Diverse figure e capi carismatici, in tempi difficili, sono stati identificati come il messia: l’ultimo personaggio a cui la qualifica venne applicata fu Simone Bar-Kokebah, verso il 130 dopo Cristo (anche nei secoli successivi non sono mancate le attribuzioni a personaggi carismatici). Gli esseni del deserto di Qumran, la cui comunità intera fu conquistata e distrutta dai Romani, dal generale Tito, nel 68 dopo Cristo, attendevano la venuta di due messia: uno sacerdotale e uno regale; il messia da Aronne (sacerdote) e il messia da Davide (re). Per l’ebraismo ortodosso, il messia è il salvatore che deve venire, il liberatore atteso, il re futuro che porterà a compimento la storia. L’ebraismo riformato del XIX secolo ha abbandonato l’idea di un messia umano e ha trasformato l’idea messianica nell’idea dell’avanzamento verso la perfezione umana, intellettuale e sociale. L’ebraismo liberale, memore dei pericoli che in passato furono causati da figure identificate come messia, ha rinunciato alla credenza in un “messia-uomo” e prega piuttosto per un “futuro messianico” di pace e armonia.
Il “giudaismo messianico” o “ebrei messianici” sono coloro che sostengono che si possa conciliare la fede in Gesù di Nazareth come messia con l’ebraismo e tutti i suoi elementi cultuali, culturali e storici; talvolta si definiscono “ebrei per Gesù”. Fanno parte di questo movimento sia persone di fede ebraica, cioè ebrei, sia cristiani (generalmente evangelicali). Essi ritengono di potere unire la prassi ebraica con i fondamenti del cristianesimo, per cui usano parzialmente la liturgia ebraica e indicano Gesù con il nome di “Yeshua”. Gli ebrei messianici riconoscono (accettano) sia l’Antico che il Nuovo Testamento. L’ebraismo ortodosso però rifiuta questo movimento e le conclusioni alle quali è giunto e ritiene che costoro (gli ebrei messianici) siano dei cristiani e basta. L’ebraismo non accetta chi professa la fede (chi crede) in Gesù come messia, poiché la considera un’altra fede, una fede inadeguata, una fede non autentica. Ecco come si esprime un noto rabbino ebreo tedesco di oggi: “Chi crede a Gesù come al Cristo è un cristiano e non più un ebreo. Dio è invisibile, dunque è improponibile la sua incarnazione o limitazione in un uomo.”
Dopo questa breve panoramica linguistica e teologica sui termini messia, messianismo, messianico, torniamo al vocabolo “messia”, alla sua storia e al significato che la Bibbia ne dà, sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Nell’Antico Testamento troviamo il vocabolo “messia” applicato a due tipi di persone: i re e i sacerdoti. Persone consacrate a Dio mediante l’unzione. Saul o Davide sono detti “l’unto del Signore”. Anche il sommo sacerdote è detto “unto”, perché è colui che ha ricevuto l’unzione. Numerosi sono i testi veterotestamentari che attestano questo dato sui re e sui sacerdoti (Salmo 105,15 sembra parlare pure dell’intero popolo). Numerosi sono gli oracoli profetici e i Salmi considerati messianici, tra tutti merita di essere citato il Salmo 110. Nel Nuovo Testamento il titolo “Cristo” viene applicato a Gesù di Nazareth. Per il Nuovo Testamento Gesù è il Messia atteso, annunciato dalle Scritture e mandato da Dio. Non ci sono altri Messia oltre a Gesù. Andrea, dopo l’invito del Battista e l’incontro con Gesù, dice a suo fratello Pietro: “Abbiamo trovato il Messia, che vuol dire Cristo” (Giovanni 1,41). E Filippo aggiunge: “Colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e i profeti” (1,45). Matteo usa l’espressione: “Gesù detto il Cristo” (1,16). Marco parla del “Vangelo di Gesù Cristo” (1,1). Gesù dunque è il Messia promesso e atteso. Come dicono la donna samaritana e i samaritani: “Gesù è il Cristo, il salvatore del mondo” (Giovanni 4,29.42). Con Paolo il nome “Cristo” acquista un significato più ampio: da attributo aggiunto al nome personale diventa esso stesso nome personale, con l’articolo o senza articolo, il Cristo o Cristo (Romani 5,6-8; 6,4-9). Alla chiesa di Corinto scrive: “Noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, pazzia per i Greci, ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei quanto Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio” (1 Corinzi 1,23). Spesso l’apostolo Paolo premette il nome Cristo al nome Gesù: “Cristo Gesù” (cosi in Romani 1,1 e in altre testi). Non ci sono altri Messia o altre attese e prospettive messianiche. Paolo, nell’inno cristologico di Filippesi 2, chiede che ogni lingua proclami e confessi che “Gesù Cristo è il Signore”!