Il verbo ebraico differisce da quello italiano: non esistono né modi né tempi. I verbi si dividono in attivi e stativi (indicano uno stato). Il verbo indica principalmente l’aspetto dell’azione, che può essere completa o incompleta. Il verbo greco invece e quello latino sono molto più simili (ma non proprio identici) al nostro verbo italiano, con modi e tempi. Come tutti sanno, l’Antico Testamento fu scritto in ebraico, poi tradotto in greco, latino e in molte altre lingue del Mediterraneo. Quando i nostri traduttori della Bibbia traducono un testo ebraico devono trasferire il significato di una frase dalla lingua originale all’italiano: e poiché noi usiamo i tempi e i modi, bisogna rendere il verbo nel tempo e nel modo corrispondente. Prima di noi gli antichi, ad esempio i Settanta, risalenti a prima di Cristo, hanno tradotto dall’ebraico al greco, e questo permette ai traduttori moderni di confrontare le loro traduzioni con quelle antiche (greche, latine o altre).
Generalmente i profeti in Israele compaiono nei momenti di crisi: qualcuno (il popolo, il re, altri) si è allontanato da Dio e vive nel peccato, e il profeta lo richiama a Dio e alla legge di Dio. Non è certo l’unica missione dei profeti: Samuele, ad esempio, ha il compito di ungere Saul re. Il profeta vive spesso su di sé la parola che predica. Osea deve sposare una donna di prostituzione e amarla: Israele è infedele a Dio, ma il Signore si mostra fedele nonostante l’infedeltà del popolo. Quando il popolo si allontana da Dio, il profeta si fa portavoce del giudizio di Dio; ma il giudizio è l’altra faccia della salvezza. Quando il popolo è infedele e pecca, Dio gli va incontro per salvarlo e gli mostra, per mezzo della predicazione dei profeti, la catastrofe a cui va incontro, se non si ravvede ma si ostina a rimanere nel suo peccato. L’annuncio del giudizio ha una funzione salvifica per chi si ravvede e torna a Dio. Giudizio e salvezza non vanno opposti o contrapposti. Dio salva, o vuole salvare il suo popolo, anche quando giudica. Perciò il profeta, che è l’uomo della crisi, non è chiamato ad annunciare soltanto catastrofi e sventure, ma il giudizio di Dio che intende salvare chi si ravvede e torna al Signore. Il profeta è sempre uno che annuncia la salvezza di Dio, sia nella forma dell’oracolo di salvezza sia nella forma dell’oracolo di giudizio.
Tutti i profeti sono concordi nel dire che Israele non può trovare né ottenere salvezza da solo: con le proprie forze, le proprie strategie politiche e militari; con cavalli, carri e cavalieri. Soltanto Dio può salvare Israele, e spesso lo fa con uomini e strumenti deboli, “né per potenza, né per forza, ma il tuo Spirito”, affinché la gloria sia di Dio e non degli uomini. La tentazione di cercare salvezza con le nostre forze e con i mezzi umani è sempre presente nel cuore dell’uomo, e la parola profetica non è un evento soltanto del passato, un messaggio ormai irrecuperabile; “la parola profetica” è sempre viva: essa è oggi parola scritta in un Libro, “alla quale facciamo bene prestarle attenzione, come a una lampada splendente in luogo oscuro, finché spunti il giorno e la stella mattutina sorga nei nostri cuori” (2 Pietro 1,19). Tramite il Libro di Dio, che la rende perenne e duratura, la parola dei profeti giunge fino a noi oggi: è una parola viva per lo Spirito, che continua a risuonare, che giudica, mette in crisi e salva chi l’ascolta e si converte a Dio.
I profeti non sono dei predicatori carismatici contrari alla legge di Dio, non sono indipendenti dalle istituzioni del passato, date da Dio tramite Mosè. I profeti richiamano il popolo alla legge di Mosè. La predicazione profetica non è contraria alla Torah, ma è contro un uso sbagliato delle istituzioni, del tempio, dei sacrifici, delle cerimonie. I profeti predicano contro il cerimonialismo, contro ogni automatismo, contro le cose sante usate come talismani, contro il formalismo, contro la concezione magico-sacrale: pensare di poter stare tranquilli solo perché si è andati al tempio è una pia illusione. Geremia predica a quanti continuavano a vivere nel peccato, pensando di usare il tempio in modo magico-sacrale, come un talismano: “tempio, tempio, tempio”. È la conversione a Dio che salva, e il tempio, i mezzi, le cerimonie, le istituzioni servono a far rivivere la fede nel Dio vivente.
Nel linguaggio profetico molte promesse di Dio sono espresse al condizionale. Sono frequenti nei profeti frasi come queste: “Se crederete, se vi convertirete, voi otterrete ciò che vi è promesso”. Il profeta invita il popolo alla conversione, se vuole beneficiare delle promesse di Dio. Non c’è nessun automatismo. La parola di Dio esige una risposta e invita alla conversione a Dio, chiama sempre chi l’ascolta alla decisione: “Se ascoltate Dio, voi vivrete”.