Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

In Luca 17,11-19 troviamo la guarigione di dieci lebbrosi, di cui però uno soltanto, e precisamente un samaritano, uno straniero, torna indietro a ringraziare Dio per la guarigione ottenuta, e ottiene da Gesù anche la salvezza: “Levati e vattene, la tua fede ti ha salvato” (17,19). Nella prima parte del racconto c’è la guarigione di tutti e dieci i lebbrosi (17,11-14), nella seconda parte la salvezza del solo samaritano (17,15-19). Tutti guariti, ma uno solo salvato. Non sappiamo se inseguito i nove siano diventati anche essi discepoli di Gesù. Ciò che possiamo affermare invece è che la guarigione non sempre coincide con la conversione: ci sono persone guarite che non si sono mai convertite. La salvezza portata da Gesù, secondo Luca, non solo si allarga oltre i confini d’Israele, ma addirittura giunge a coloro che sono lontani, cioè samaritani e pagani.


Nei vangeli, guarigione e salvezza sono spesso associate, e la salvezza è significata e anticipata dalla guarigione. Il verbo greco “sozo”, tradotto in italiano con “guarito”, è lo stesso verbo che viene pure tradotto con “salvato”. Ad esempio, in Luca 19,10, nel racconto di Zaccheo, si usa “sozo” per dire che Gesù è venuto a salvare ciò che era perduto. Ciò significa che quando la Bibbia parla di salvezza dell’uomo intende dire che tutto l’uomo, anima e corpo, sarà salvato.


Oggi assistiamo ad una ridefinizione culturale e teologica della salvezza, dovuta a diversi fattori, tra cui anche la riscoperta da parte della psicologia della dimensione terapeutica e curativa della fede: la fede viene intesa come medicina per curare i mali fisici e psichici dell’uomo. Certamente c’è del vero in questo: chi crede in Dio dà senso alla vita, ha uno scopo, vive in pace, nella gratitudine e nella gioia. Davide, in uno dei suoi salmi, dice: “In pace mi coricherò e in pace dormirò, perché tu, o Signore, mi fai abitare al sicuro” (Salmo 4,8). Il cristiano non ha bisogno di psicofarmaci per vivere e dormire. Nel vangelo di Matteo è scritto che Gesù dona riposo a chi, stanco e travagliato, va a lui. Bastano questi due esempi per dire che la fede è anche medicina per il corpo.


Purtroppo però la riscoperta della dimensione terapeutica della fede ha portato ad una svalutazione del concetto biblico di salvezza inteso come perdono dei peccati. Nel cantico di Zaccaria è scritto che il popolo avrà la conoscenza della salvezza mediante la remissione dei peccati (Luca 1,77). Secondo la Bibbia, il vero dramma dell’uomo è il peccato, che separa l’uomo da Dio. È il peccato che porta alla schiavitù, alla malattia, alla disperazione, alla paura, al non senso, alla morte. È il peccato la causa di tutti i mali. E la salvezza in Gesù è innanzitutto perdono dei peccati.


Una salvezza senza perdono dei peccati non è salvezza: è solo qualcosa di inutile e dannoso, perché inganna e illude l’uomo. Una salvezza che scade nella sola dimensione terrena, che ricerca il solo benessere fisico, che non guarda oltre le cose che si vedono di questo mondo, è fugace e illusoria. Una salvezza che si occupa solo dell’aspetto materiale e terapeutico è pura ideologia, non teologia. È sotto gli occhi di tutti che a fronte di poche persone che stanno bene fisicamente, ce ne sono tante altre, uomini, donne e bambini innocenti, che soffrono ogni giorno: ci sono i non-guariti, i malati, i poveri; ci sono le centinaia di profughi che scappano dalle guerre (è sotto gli occhi di tutti ciò che sta accadendo in questi giorni a Kabul e in Afghanistan), dagli attentati terroristici, dalla fame, dalle ingiustizie, dalla povertà. Il rapporto salvezza-guarigione viene così capovolto e la salvezza viene intesa e declinata a semplice dilatazione del sé, a guarigione degli aspetti fisici e psichici dell’uomo e dell’esistenza umana, per vivere una vita espansa soltanto del lato umano e materiale. Ma senza il perdono dei peccati non c’è e non può esserci salvezza, né tantomeno la vita piena ed esuberante di cui parla Gesù nel vangelo di Giovanni (10,10).


La salvezza del samaritano, di cui parla Luca, non è da intendere come pura e semplice guarigione fisica, che ricevono anche gli altri nove lebbrosi, ma come salvezza spirituale, perdono dei peccati, che solo lui riceve perché torna indietro da Gesù a glorificare Dio. È la salvezza che si ha mediante la fede, quella fede che introduce alla sequela di Cristo e che ci fa essere discepoli di Gesù.


E allora la riscoperta della dimensione terapeutica della fede non può scadere in uno svuotamento del concetto biblico della salvezza, non può perdersi in un asservimento dello spirituale ai bisogni fisici e materiali dell’individuo, non può dimenticare la dimensione spirituale, non può omettere il perdono dei peccati; in ultima analisi, non può dimenticare la croce di Cristo.

Paolo Mirabelli

30 agosto 2021

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.