Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

La Bibbia è piena di belle storie di uomini di fede. Purtoppo ci sono anche storie di disobbedienza, o di uomini che iniziano bene il loro cammino ma finiscono male. Pensiamo a Saul, per l’Antico Testamento, il primo re d’Israele, e a Giuda, per il Nuovo Testamento, uno dei dodici apostoli di Gesù. Qui è la storia di Saul che ci interessa, in particolare il capitolo 15 di 1 Samuele. La sua non è una storia di fedeltà a Dio. Quando la Bibbia racconta la storia di un re d’Israele non ci dà il titolo, siamo noi che cerchiamo di sintetizzarla con poche parole. Nel caso di Saul, la storia della sua vita riguardo a Dio può essere riassunta con due frasi bibliche, tratte proprio dalla sua vita: “Dall’altare al monumento”. Il libro di Samuele racconta che dopo la sconfitta dei filistei, Saul costruisce un altare al Signore (14,35), invece dopo la vittoria sugli amalechiti, Saul fa un monumento a se stesso (15,12). Saul, prima di essere unto re d’Israele, è un giovane ebreo umile, modesto, sottomesso a Dio e al profeta Samuele; è uno che non aspira al potere né alla gloria degli uomini. Samuele dice di lui: “Non è forse vero che quando ti consideravi piccolo sei diventato capo delle tribù d’Israele, e il Signore ti ha unto re d’Israele?” (1 Samuele 15,17). Piccolo qui non indica l’età, ma la reputazione che egli ha di sé. Purtroppo quando Saul diventa grande, cioè re d’Israele, comincia la sua parabola discendente e il suo allontanamento da Dio. Il passaggio dall’altare al monumento sintetizza la sua decadenza spirituale. L’altare celebra Dio, il monumento loda le gesta dell’uomo. L’altare rimanda a Dio, il monumento alla grandezza degli uomini. L’altare è un ringraziamento a Dio per la vittoria, il monumento è un simbolo di potere del re vittorioso. Il capitolo 15 di 1 Samuele ci permette di capire meglio il peccato di Saul e il perché del monumento che erige in suo onore.


Con il capitolo 15 arriviamo alla fine del discusso regno di Saul. Dopo questo, Saul è ormai de facto fuori gioco come re. Il dado è tratto. Samuele, il facitore di re, è ora nel ruolo di abbattere, destituire il re; la sua rimozione prepara l’avvento di Davide al trono. Anche se Saul continuerà a fregiarsi del titolo di re, questo capitolo segna per lui l’inizio della fine. Gli amalechiti sono uno dei popoli più barbari dell’antichità, tra i più ostili a Israele: nel deserto, durante il viaggio, li attaccano alle spalle e uccidono donne e bambini (Esodo 17,8). Ora è giunto il tempo del giudizio, e Samuele ordina che Amalec sia posto sotto interdetto (herem), votato allo sterminio (una regola della guerra); ma Saul porta con sé il meglio, pecore e buoi, per la sua ricchezza, e il re Agag, come pubblica prova del suo potere. Per celebrare la sua vittoria erige un monumento a Carmel in suo onore. Samuele lo accusa di non aver eseguito gli ordini di Dio. Saul si giustifica attriuendo la responsabilità al popolo. La sua difesa ricorda quella di Adamo, quando si giustifica con Dio dopo il peccato (Genesi 3,12). Saul usa scaltramente “ordine” al singolare, in contrasto con il plurale usato da Dio. Cerca di scaricare sugli altri, sulle truppe, la colpa della disubbidienza, e scusarla dando come motivazione il sacrifico. Insinua che non ha potuto evitare la disubbidienza dei suoi, ma Samuele gli fa osservare che egli ha l’autorità, il potere, in quanto re, di farla evitare. La sua tesi è: Saul è innocente, il popolo colpevole. Samuele però conosce la verità dei fatti dalle parole di Dio e lo accusa di avere disobbedito a Dio. Oltre che di disubbidienza, Saul è colpevole di ribellione, ostinatezza, orgoglio, rigetto della parola di Dio. Inoltre, nella sua difesa, Saul dice che il sacrifico è destinato al “Signore, al tuo Dio”, non dice “al nostro Dio” o al “mio Dio”: sembra quasi prendere le distanze da Dio. “Perché non hai ascoltato il Signore?”, domanda Samuele. “Ascoltare” (shemà) è uno dei verbi più importanti per il popolo di Dio. In questo racconto Samuele ascolta persino il belare delle pecore e il muggire dei buoi. Saul invece non ascolta: eppure in Israele il re è unto per ascoltare il Signore; dove non vi è ascolto, non vi è unzione. L’ascolto, l’ubbidienza a Dio vale più del sacrificio. La sua ribellione porta alla reiezione. Il Signore lo rigetta come re d’Israele: potere e regno sono tolti a Saul e dati a “un altro migliore di te”. Lo strappo del mantello di Samuele simboleggia lo strappo dello scettro dalle mani di Saul. Saul dice di pentirsi ma chiede a Samuele che gli permetta di salvare la faccia dinnanzi al “mio popolo”. Samuele coglie che il giudizio di Dio è definitivo e non visita più il re per tutta la vita. Il distacco di Samuele rappresenta il distacco di Dio da Saul. Samuele fa cordoglio per Saul e il Signore si pente di averlo fatto re d’Israele. Il racconto finisce ma il messaggio rimane: a nulla valgono i monumenti umani; l’unico motivo di vanto e di gloria è il Signore.

Paolo Mirabelli

25 gennaio 2021

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