Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Il brano che abbiamo scelto ci mostra il profeta Elia smarrito e disorientato, al punto di inoltrarsi nel deserto per cercarvi la morte. In questo momento egli sembra aver perso il senso di Dio, che sembra essere entrato nel silenzio e aver dimenticato e abbandonato il suo profeta. Di fronte all’idolatria dilagante in Israele, voluta dal re Acab e, soprattutto, da sua moglie Izebel (diventata nella Bibbia l’emblema di colei che istiga i figli di Dio all’idolatria), Dio sembra tacere e disinteressarsi di quanto accade. Tutta l’identità di Elia è nella sua relazione con Dio, “alla cui presenza io sto” (1Re 17,1). Se Dio tace, Elia smarrisce se stesso e il significato della propria esistenza e missione. Come dice il salmista: A te grido, Signore, mia roccia, con me non tacere: se tu non mi parli, sono come chi scende nella fossa” (Salmo 28, l). Forse più che cercare la morte, Elia cerca Dio e la sua parola; più che fuggire da Dio, Elia si reca nel deserto per cercare e incontrare Dio nel silenzio. E allora il suo inoltrarsi nel deserto è come un grido innalzato verso Dio perché torni a parlare e a manifestarsi. E Dio ascolta il grido del suo profeta: gli parla e gli si rivela. A Elia disorientato il Signore dona di nuovo un orientamento, apre una strada davanti ai suoi passi, offre anche del pane che sostenga la sua vita e il suo cammino. L’itinerario che Elia percorre è lo stesso vissuto dai suoi padri, di cui sa di non essere migliore: quaranta giorni e quaranta notti nel deserto fino al monte di Dio, l’Oreb, altro nome con cui si identifica nella Bibbia il monte Sinai, il monte dove Dio ha parlato a Mosè e ha stipulato l’alleanza con il suo popolo. E come la manna ha nutrito Israele durante i quaranta anni nel deserto, così ora c’è un pane che nutre il cammino di Elia.


Dopo i fatti accaduti sul monte Carmelo (alla presenza del popolo che zoppicava e barcollava dai due lati, un po’ di qua e un po’ di là), dove Elia sfida i profeti di Baal e dimostra l’inconsistenza dell’idolatria (18,20-46), Acab racconta alla moglie Izebel o Gezabel la vittoria di Elia e la sonora sconfitta e l’uccisione dei profeti di Baal (19,1). La reazione di Izebel contro Elia è violenta: lo minaccia di morte sicura (19,2). Elia, spaventato dal messaggero che gli annuncia la condanna a morte che pesa sul suo capo, esausto e scoraggiato, per salvarsi la vita, fugge dall’odio di Gezabel e s’incammina nel deserto del Neghev. Arrivato a Beer-Sceba, lascia il suo servo e s’inoltra per una giornata di cammino: alla fine del cammino si mette seduto sotto una ginestra (19,3-4). Lì si abbandona alla disperazione, tanto che vorrebbe morire. Anziché confidare in Dio, fugge via in cerca di un riparo, lontano da Izebel, e cade nella disperazione. L’episodio richiama il paragone con Mosè, il quale prostrato dal peso della missione di guidare il popolo nel deserto, si lamenta con Dio e lo invoca: “Se mi devi trattare così, fammi morire, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, che io non veda più la mia sventura” (Numeri 11,15). Proprio nel momento del massimo sconforto di Elia interviene il Signore con una chiamata e l’offerta di cibo. Un angelo lo sveglia di notte mentre dorme e gli dice: “Alzati e mangia” (19,5).  Elia trova una focaccia “cotta su pietre roventi e una brocca d’acqua” (19,6). Così egli mangia e beve, ma poi si corica di nuovo. Il pane e l’acqua rievocano e fanno pensare all’esodo e al cammino dei figli d’Israele nel deserto per quaranta anni: Dio ha cura del popolo e provvede il necessario per vivere. Così il Signore ha cura di Elia, ma il profeta non ha ancora capito questa lezione. Il vocabolo ebraico rafim, tradotto con “pietre roventi”, è lo stesso che si trova in Isaia 6,6 (dove compare il singolare rafa): indica la pietra ardente (di solito tradotta con carbone) che ha in mano il serafino con il quale purifica la bocca del profeta. La prima chiamata non basta a rinfrancare Elia. Il profeta si riaddormenta, non ha ancora la forza di riprendere a seguire la volontà di Dio. Questo riaddormentarsi di Elia è il segno della riluttanza del profeta a seguire la vocazione del Signore, che intuisce difficile e piena di ostacoli. È una costante che si riscontra in molti racconti di vocazione, anche di grandi uomini di Dio: Mosè cerca delle scuse che lo esonerino dal gravoso compito che Dio vuole affidargli in Egitto (Esodo 4,10-13); Geremia obietta di essere troppo giovane per una missione così importante (1, 6); Giona tenta addirittura la fuga, lontano dalla presenza del Signore, verso Tarsis (1,1-3). L’angelo del Signore chiama Elia e lo invita a mangiare una seconda volta: solo dopo aver mangiato la seconda volta il profeta è pronto per il cammino fino all’Oreb, vale a dire il Sinai, per ricevere e abbracciare con energia rinnovata l’insegnamento del Signore e a predicarlo in Israele (19,7-8).

Paolo Mirabelli

18 gennaio 2021

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.