Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Siamo nel discorso profetico di Gesù secondo la versione di Luca (21,28); discorso che presenta dei tratti apocalittici. Il vocabolo apocalisse nell’immaginario collettivo comunica soltanto distruzione, catastrofi, guerre, pandemie, ma nel suo significato biblico il discorso apocalittico è un messaggio di speranza che consola i cristiani e li guida nella comprensione e discernimento degli eventi. Quando sembra che la storia, con i suoi tragici eventi, sfugga di mano a Dio, quando non si vede più futuro e si perde ogni speranza, e si pensa che la fine sia ormai imminente, il Signore “toglie il velo” (questo è il significato di “apocalisse”) e mostra il suo disegno di salvezza ai suoi: coloro che si fidano delle parole di Gesù, perché sanno che “cielo e terra passeranno, ma le mie parole non passeranno” (21,33). Ciò che leggiamo in questo discorso non ci deve spaventare: le immagini apocalittiche di questo brano che descrivono la “crisi cosmica” devono servire a decifrare gli eventi della storia, a discernere i tempi, per saper cogliere la venuta del Figlio dell’uomo.


Pur rifacendosi al linguaggio apocalittico, la prospettiva di Gesù non è quella di fornire elementi per stabilire date precise sulla fine della storia, quanto offrire criteri di discernimento che permettano di intravedere l’approssimarsi della fine e saper vivere l’attesa in maniera responsabile e vigilante. Ciò che deve stare a cuore al discepolo è il modo con cui è chiamato a vivere la parusia, tenendo sempre lo sguardo volto al compimento. Si può cadere in due trappole: la tentazione d’impazienza (volere anticipare il compimento); la rassegnazione di chi non aspetta più nulla (disimpegno nella storia). Gli imperativi, discernimento e vigilanza orante, sono l’antidoto che permettono di essere radicati e impegnati nella vita, nell’attesa del compimento che è solo nelle mani di Dio.


Servendosi del linguaggio apocalittico e profetico, Gesù parla di disastri e sconvolgimenti cosmici, che si concludono con la manifestazione gloriosa del Figlio dell’uomo (21, 25-27). Segni nel sole, nella luna e nelle stelle. Agli uomini il sole, la luna e le stelle comunicano il tempo che passa e la stabilità e il perdurare delle cose. La mattina nasce il sole e la sera tramonta, la notte appaiono la luna e le stelle: un giorno finisce e un altro inizia, e il tempo passa, inesorabilmente, nei giorni, mesi e anni. Tutto muta e cambia attorno a noi: le città, le strade, i negozi, le case. Gli oggetti e le cose di un tempo non esistono più. Eppure, quando si guarda il cielo sembra che in quest’universo, in cui tutto muta e finisce, ci sia qualcosa di stabile e duraturo, che non viene mai meno: il sole, la luna e le stelle. Non è così, dice il testo biblico lucano. Persino questi fenomeni che l’uomo contempla sono transitori, per niente stabili ed eterni. L’universo è più fragile di quanto pensiamo: ha avuto un inizio e avrà una fine. Le cose che si vedono e si sperimentano ogni giorno non sono realtà ultime e definitive, ma transitorie, penultime. Cielo, terra e mare sono lo spazio e il tempo abitati dall’uomo: tutto subirà una crisi, uno sconvolgimento; tutto cederà il passo a qualcosa di nuovo e di meglio. Di fronte a quest’ultimo spettacolo, che si svolge sul palcoscenico della storia, un dramma cosmico, umano ed esistenziale, gli uomini sono confusi e spaventati. Provano angoscia (synoche), disagio e smarrimento (aporia) per ciò che accade. Sembra di vivere una situazione senza via di scampo. Non è così per i discepoli di Gesù: essi sanno che la fine di tutto è soltanto l’inizio della loro liberazione e l’inizio di qualcosa di nuovo. I cristiani sanno già come finirà la storia, sanno il nome della fine, o meglio di colui che è l’inizio e la fine: Gesù Cristo, il Signore veniente.


Che fare quando tutto questo accade? Che fare durante la distruzione di Gerusalemme per mano dei romani o alla fine del mondo? Che fare quando sembra che sia la fine? Che fare quando ci si trova di fronte a situazioni difficili come questa pandemia, che sembra senza via d’uscita? “Rialzatevi, elevate il capo”, dice Gesù ai suoi. Nessuna sconfitta o smarrimento per i cristiani, nessuna paura. I discepoli di Gesù non devono abbattersi o angosciarsi, piuttosto assumere la postura eretta (rialzarsi) e sollevare la testa. Chi è sconfitto abbassa il capo, così chi non ha più speranza. I cristiani alzano la testa. La posizione eretta è l’immagine della speranza, l’immagine di chi è in cammino, l’immagine di chi sa attendere la venuta del Figlio dell’uomo. La posizione eretta è anche l’immagine di chi veglia e prega. Il cristiano è come la sentinella, sveglia e attenta, pronta a lanciare l’allarme se vede dei nemici o un pericolo che incombe sulla città. Un’immagine delle catacombe è quella dell’orante che prega in piedi, con la testa alzata e le mani tese verso il cielo.

Paolo Mirabelli

27 ottobre 2020

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.