Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

La parabola: I servi vigilanti (Luca 12,35-48). Si tratta di un trittico che ha per argomento la necessità di vivere nell’attesa di Cristo, che verrà a giudicarci. Eccone le singole scene. Prima scena: i servi vigilanti e la gioia di essere pronti (Luca 12,35-38; Marco13,33-37; Matteo 24,42). Seconda scena: l’arrivo del ladro o l’imprevedibilità della venuta di Gesù (Luca 12,39-40; Matteo 24,43-44). Terza scena: il servo fedele e quello infedele, o la severità del giudizio divino (Luca 12,41-48; Matteo 24,45-51). Oltre a queste tre scene, nella parte conclusiva sono riportati alcuni insegnamenti sempre validi che si possono trarre dalla parabola.


Prima scena: I servi vigilanti e la gioia di essere pronti (Luca 12,35-38; Marco 13,33-37; Matteo 24,42). Questa prima scena è a sua volta articolata, per facilitare lo studio, in tre parti: l’attesa; la gioia del ritorno; di che (quale) venuta si tratta.


L’attesa. Per Luca il padrone é andato alle nozze, e deve quindi tornare di notte, probabilmente verso il mattino a un’ora imprecisata. L’autore, secondo l’uso giudaico, divide il periodo dell’attesa notturna in tre parti: prima, seconda e terza vigilia (Esodo14,24; Giudici 7,19). Nel caso delle nozze: la prima vigilia si passava nell’attesa del corteo nuziale, nella cerimonia nuziale e nei convenevoli; la seconda nel pranzo nuziale che poteva prolungarsi anche molto; nella terza vigilia si attuava il ritorno. I servi devono quindi vegliare per essere pronti ad aprire la porta appena il padrone vi busserà. Sembra essere questa la forma originaria della parabola. Per Marco il padrone é partito per l’estero, dopo avere affidato i compiti a ciascun servo e al portiere l’obbligo di vegliare (13,33). Sembra strano in questo caso che si parli per tutti di vegliare tutta la notte (sarebbe stato sufficiente che vegliasse il portinaio), perché essi dovevano ignorare non solo l’ora del ritorno, ma anche lo stesso giorno.  Secondo l’uso romano (noto anche in Palestina), Marco, che scrive per i romani, suddivide la notte in quattro parti: tarda sera, mezzanotte, canto del gallo e mattino (Marco 6,48; 13,35; quattro veglie, in latino: vigiliae). Forse per questa incongruenza (secondo questa lettura, ma il testo può avere una lettura più lineare) del racconto marciano, Matteo (omettendo la parabola) raccomanda solo di vegliare e poiché applica il suggerimento di Gesù, l’attesa cristiana del ritorno finale del Cristo glorioso (parusia), dice chiaramente che essi non possono conoscere il giorno nel quale il padrone tornerà (Matteo 24,32).


La gioia del ritorno. Messo di buon umore dal pranzo appena terminato, felice nel vedere i servi pronti ad attenderlo, con un gesto inaudito presso gli antichi orientali, il padrone fa sedere a tavola i suoi schiavi e li serve di persona. Così la gioia del cibo da lui mangiato alla cena nuziale è in un certo senso comunicato anche ai servi. Il padrone prende il loro posto e i servi siedono a tavola quasi fossero dei padroni. Qui il racconto sfocia nell’allegria e raffigura lo stesso Gesù che è venuto per servire e non per essere servito: “Chi è il più grande, chi sta a tavola o colui che serve? Non è forse colui che è a tavola? Ma io sono in mezzo a voi come colui che serve” (Luca 12,27; Matteo 20,28). Nell’ultima cena Gesù ha davvero servito i suoi, lavando loro i piedi (Giovanni 13,1-17). Il banchetto, specialmente quello nuziale, è nei vangeli immagine della felicità eterna (Luca 14,16-24), per cui si può dire che i servi in vigile attesa sono introdotti “nella gioia del loro padrone” e possono essere chiamati “beati” (Luca 12,37). Marco, invece, tralascia la scena idilliaca del pranzo servito dal padrone per raccomandare la vigilanza, “perché il padrone venendo all’improvviso non li trovi addormentati” (Marco 13,36). Anziché l’aspetto positivo ne sottolinea quello negativo. Come si vede i particolari sono molto diversi, per cui alcuni pensano che si tratti di due parabole diverse. É possibile, e anzi logico, che Gesù abbia ripetuto più volte il suo invito alla vigilanza con parabole simili, sia pure con sfumature diverse. Siccome però la sostanza é identica si può anche ritenere che si tratti dello stesso racconto, i cui particolari sono presentati qui, come altrove, con sfumature diverse. L’intento della parabola é quello di suggerire la vigilanza, come appare dalla sua introduzione: “Siano cinte le vostre reni, le lucerne accese” (Luca 12,25), invito riportato da Marco in “badate a stare svegli” (Marco 13,33).


Di che (quale) venuta si tratta? Forse nel labbro (sulla bocca) di Gesù si riferiva all’inaugurazione del regno messianico che Dio avrebbe attuato tramite Gesù Cristo e alla quale gli ebrei e i discepoli devono stare preparati. Di solito Gesù (in queste parabole) si presenta come il Figlio o come il Figlio dell’uomo, non come un padrone. Dio, il padrone, inaugura il suo regno in Gesù, per cui occorre ravvedersi ed essere vigilanti per gustarne la gioia. Gesù, infatti, secondo Matteo e Marco, andava annunziando: “Convertitevi perché il regno di Dio è vicino” (Matteo 4,17; Marco 1,15). Questo viene inaugurato da Dio in modo semplicemente straordinario da un momento all’altro: “Il regno di Dio non viene in modo impressionante, né si potrà dire: Eccolo qui! Eccolo là! Poiché, ecco, il regno di Dio è già in mezzo a voi!” (Luca 17,20-21), solo chi è in vigile attesa se ne poteva accorgere. La chiesa però ha riletto questa parabola e l’ha applicata alla situazione nella quale essa viveva, posta tra le due venute di Gesù: la prima in forma mortale, la seconda in modo gloriosa. Il padrone è il Gesù risorto che é andato lontano lasciando i suoi di fronte all’affievolimento di tale attesa (2 Pietro 3,9), i vangeli scritti nel periodo post pasquale, invitano alla vigilanza, perché il Signore - qui il padrone è Gesù, il Signore-, anche se tarda, verrà. Tale interpretazione è ancora più chiara in Marco che parla di “partenza di Gesù per l’estero” (nel caso di Gesù il cielo) e in Matteo che, anziché parlare delle veglie notturne dell’attesa, ricorda addirittura che si ignora il giorno della sua venuta. Le sue parole fanno infatti parte del grande discorso escatologico, dal quale deriva pure il paragone di Cristo che viene come un ladro, la parabola del servo laborioso e dell’altro non ligio al proprio dovere e il detto di Gesù: “Quando poi a quel giorno e a quell’ora nessuno lo sa, non gli angeli dei cieli e nemmeno il Figlio, ma solo il Padre” (Matteo 24,36).


Seconda scena: l’arrivo del ladro o l’imprevedibilità della venuta di Gesù (Luca 12,39-40; Matteo 24,43-44). Simile alla precedente parabola vi è l’altra del padrone che non si lascia sfondare la porta o il muro di casa all’arrivo del ladro, perché sta vigilante. Monito per i credenti, perché il Figlio dell’uomo verrà quando meno lo si attende. Qui i termini sono invertiti, i discepoli non sono più raffigurati come dei servi, bensì come padrone di casa, e il Signore Gesù non è più rappresentato dal padrone, bensì da un ladro. Che si tratti di lui è chiaro dall’appellativo “Figlio dell’uomo”. La parabola sottolinea l’imprevedibilità dell’ora nella quale Cristo verrà. Nel Nuovo Testamento l’immagine del ladro che arriva non atteso è perlopiù riferita a Cristo in persona (Matteo 24,43; Apocalisse 3,3; 16,15); ma anche al “giorno del Signore” (1Tessalonicesi 5,2; 2 Pietro.3,10) nel quale si svolgerà il giudizio finale. I due simboli si equivalgono perché la venuta del Signore condurrà con sé il giorno del giudizio e la conseguente condanna dei malvagi.


Terza scena: Il servo fedele e quello infedele, o la severità del giudizio divino (Luca 12,41-48; Matteo 24,45-51). Dopo la vigilanza che introduce nel regno e dopo la venuta imprevedibile di Gesù, Luca riferisce il giudizio di Cristo alla sua venuta finale, per mezzo di una parabola, che risponde ad una precisa richiesta di Pietro. Egli, colpito dal banchetto felice della parabola precedente, al quale sperava partecipare, o dalla paura dell’incontro improvviso con Gesù giudice, chiede se la parabola precedente era stata detta per i discepoli o per gli altri fuori della loro cerchia. Vi risponde Gesù, secondo Luca, con la parabola dell’amministratore (greco oikonomos, termine lucano), persona assai importante paragonabile al nostro procuratore. È così chiamato per anticipazione in quanto solo più tardi il servo (come è in seguito chiamato) viene preposto a tutti i beni del padrone come suo vero amministratore, perché ha dato prova di essere capace di provvedere cibo ai servi a lui affidati (Luca 12,44; Matteo 24,47, “gli affiderà i suoi beni”). Sembra quindi che la parabola si riferisca agli apostoli di Gesù che sono invitati a lavorare con vigilanza per il Signore nella loro missione evangelica. Se l’economo fedele è così premiato, quello che, anziché compiere il proprio dovere approfitta della sua posizione per battere i subalterni, per mangiare, bere e ubriacarsi, sarà duramente punito. L’economo viene “fatto a pezzi”, il che sembra una pena esagerata per la colpa commessa, anche se sorti così barbare, come lo squartamento, non fossero del tutto ignote nel mondo greco-romano, può darsi che il corrispondente greco sia una traduzione inesatta (già diffusa nell’insegnamento orale della chiesa) di una parola aramaica che può essere intesa come “dividere qualcuno” o come “dividere a qualcuno”, quindi “assegnare, impartire”, nel caso nostro una pena o delle percosse, impartire la condanna, debba tradurre con sentenza: “gli assegnerà la sua condanna”. La sua sorte sarà quella degli “ipocriti” (Matteo) e degli “infedeli” (Luca). Il senso fondamentale non muta: gli ipocriti sono probabilmente i farisei che rifiutano il Cristo e quindi sono infedeli, increduli, come dice Luca. In altre parole sarà escluso dal regno. In una aggiunta originariamente slegata dalla parabola e qui attratta per affinità di argomento relativo alla condanna, Luca parla della sorte di altri servi che saranno più o meno duramente puniti secondo la relativa conoscenza che essi hanno della volontà del padrone, in accordo con il principio “a chi più conosce, più sarà richiesto” (Luca 12,46-48). Il rapporto tra castigo e conoscenza della volontà divina sembra suggerire che gli scribi più istruiti nella legge divina saranno puniti più duramente del popolo ignorante, oppure, secondo il contesto generale del terzo vangelo, che gli ebrei conoscitori della legge saranno più responsabili e quindi degni di maggior pena dei pagani privi di tale conoscenza (Romani capitolo 2). Matteo a modo di corollario aggiunge la frase “là vi sarà pianto e stridore dei denti” per significare la sofferenza di chi è privato della comunione con Dio (Matteo 8,12; 13,42; 22,13; 24,51; 25,31; Luca13,28).


Insegnamenti sempre validi. La parabola ancora oggi ci dà insegnamenti. Primo. I cristiani devono vivere in tenuta di lavoro ed essere protesi verso l’incontro con il Signore che sarà la loro gioia: “Se dunque siete risorti in unione con il Cristo, cercate le realtà che stanno in alto, dove il Cristo si trova alla destra del Padre. Volgete la mente alle realtà superiori, non a quelle della terra” (Colossesi 3,1-4). “Essi bramano solo la realtà terrena, ma quanto a noi, la nostra patria è in cielo dal quale attendiamo pure, quale Salvatore, il Signore nostro Gesù Cristo” (Filippesi 3,19-21). Secondo. La Sua venuta sarà inattesa (seconda parabola), come quella di un ladro. Terzo. Nel frattempo, dice la terza parabola, ciascuno di noi deve lavorare per la famiglia cristiana, mettendo a disposizione le doti che possiede, in modo di essere trovato attivo, e non ozioso o malvagio, al ritorno di Gesù. Quarto. Nel pensiero della chiesa il servo (Matteo) o l’amministratore (Luca) preposto ad altri servi, simboleggia coloro che hanno responsabilità nella casa di Dio (1 Timoteo 3,15): è l’apostolo (al quale la parabola é rivolta, Luca), “amministratore dei beni divini”; è il vescovo, “economo di Dio”; è il cristiano più maturo o meglio dotato che deve mettere a disposizione degli altri il dono ricevuto “da bravo amministratore della molteplice grazia di Dio" (1 Pietro 4,10).


Nota degli editori. Questa parabola de I servi vigilanti (Luca 12,35-48) è tratta dagli appunti scritti a mano di Fausto Salvoni (1907-1982) sulle parabole di Gesù. Le citazioni bibliche sono fatte da Salvoni secondo la traduzione del Nuovo Testamento edito dalla Lanterna, Genova 1972; a volte però i testi biblici sono citati in maniera libera, probabilmente tradotti sul momento dal testo greco. Le note e alcune piccole parti mancanti del testo sono di Paolo Mirabelli che: ha corretto il testo, curato la revisione, riformulato certe espressioni e articolato la parabola in tre parti. La trascrizione (fatta tramite un cellulare!) dei testi, dal cartaceo al formato elettronico, è di Cesare Bruno. Roberto Borghini si è occupato della trasmissione elettronica del testo in formato word.

Fausto Salvoni

21 ottobre 2020

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.