Bibbiaoggi
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Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

La monarchia nell’antico Israele è un fenomeno complesso. Non la si può considerare una semplice istituzione politica, è necessario rendersi conto delle implicazioni teologiche. Nel mondo antico ci sono convinzioni sulla figura del re che si scontrano con la Torah data da Dio a Israele per mezzo di Mosè. Nella mitologia reale egizia, il re viene inteso come una incarnazione della divinità, un figlio di dio (per adozione o discendenza), con poteri divini. Nell’antico impero babilonese i re sono una rappresentazione della divinità, che pretendono culto e adorazione e si danno il titolo di sacerdote supremo. Concezioni simili a quelle egizie e babilonesi si ritrovano anche per i re cananei e fenici. Si capisce allora perché sia impossibile per un israelita fedele al Signore, che pratica il principio del “solo Jahvé”, intendere il re in questo modo. Nel discorso di Samuele (sarebbe meglio dire di Dio), riportato in 1 Samuele 8, la critica alla monarchia riflette altri motivi, soprattutto teologici. Prima di Samuele, nell’apologo di Jotam, definito la più espressiva composizione antimonarchica della letteratura universale, c’è già il rifiuto della monarchia. In questa parabola degli alberi si dice che: mentre tutti gli alberi adempiono il loro compito per il bene altrui, il rovo è l’unico buono a nulla; il suo dondolarsi al di sopra degli altri alberi, il suo invito a rifugiarsi alla sua ombra, non sono che ridicola arroganza (Giudici 9,8-15). Tuttavia, il discorso di Samuele è la critica più esplicita e la più motivata contro la monarchia che troviamo nell’Antico Testamento; è anche uno dei più importanti brani della Bibbia sugli abusi del potere pubblico.


I capitoli 1-7 di 1 Samuele parlano d’Israele e dell’antico ordine sotto la guida di Samuele, i capitoli 8-15 narrano come si istaura la monarchia. È un problema che si pone in modo improvviso. Dopo la battaglia di Eben-Ezer, Israele è contento di seguire Samuele. Quando però egli diventa vecchio e i figli amministrano male la giustizia, il popolo ha di nuovo il desiderio di avere un re. Una richiesta simile c’è già al tempo di Gedeone, quando il popolo gli chiede di regnare “su di noi, perché ci hai salvati dalla mano di Madian”, ma egli risponde: “Io non regnerò su di voi, né mio figlio; il Signore è colui che regnerà su di voi” (Giudici 8,22-23). La richiesta di un re, fatta a Samuele, viene messa in relazione alla mancanza di una guida stabile. Anche se può sembrare ragionevole, di fatto equivale a un rifiuto di avere Dio come re. Cercare nel governo di un re la guida e il bene della nazione significa non fidarsi di Dio, che guida il suo popolo servendosi di giudici. La differenza tra un giudice e un re sta nella continuità: i re stabiliscono delle dinastie. I punti teologici qui sono: i giudici sono scelti dal Signore, quando lo ritiene opportuno; le sconfitte d’Israele sono causate dai loro peccati, non dalla incompetenza dei giudici. Il ricordo del faraone, re d’Egitto, è svanito dalla loro mente. Un nuovo modello sta per emerge in Israele: la monarchia.


Il dialogo tra Samuele, il popolo e il Signore riflette la tensione che c’è. Gli anziani propongono una nuova e insolita modalità del potere, per far fronte alla minaccia dei filistei. Vogliono un re “come lo hanno tutte le nazioni”; ma Israele è scelto tra le nazioni per non essere come le altre nazioni. Israele ordina la sua esistenza secondo la Torah. Il governo del re porta a una concentrazione della ricchezza, al monopolio del controllo delle terre, all’azzeramento delle iniziative locali. Le spese di una reggia e il lusso rendono necessari tanti balzelli e confische (Israele ne fa esperienza sotto il re Salomone). Il verbo dominante con cui si caratterizza la monarchia è “prendere”, usato qui sei volte (la democrazia è senza dubbio da preferire alla monarchia, ma evidentemente il “prendere per sé” è un difetto di molti che esercitano il potere). Il risultato finale di questo assetto di potere è “sarete schiavi” (questo è il popolo uscito dalla schiavitù egiziana!). Non importa se chi rende schiavi è il faraone d’Egitto o un re israelita. Il monito di Dio e di Samuele non è accolto. Il loro desiderio è troppo forte. La risposta di Dio è dominata dalle espressioni “ascoltali” e “avvertili”. Essi avranno il loro re, ma udranno da Samuele qual è il modo di agire del re. Non potranno poi lamentarsi di non sapere. Alla fine Dio non si oppone alla richiesta di un re; non approva, ma non impedisce. La monarchia non è approvata, ma è consentita. Con il dire “le nostre guerre” il popolo fa sentire la sua indipendenza da Dio: non più le guerre del Signore, ma le guerre degli uomini. Il problema della monarchia è teologico, non politico. La monarchia non è espressione del rifiuto di Samuele (o di un vecchio ordine di potere ormai obsoleto e superato), ma del rifiuto di Dio.

Paolo Mirabelli

30 settembre 2020

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