Dopo aver parlato di Samuele, dalla nascita alla vocazione, i capitoli 4-6 spostano l’attenzione sul pericolo dei filistei. Il capitolo 4 parla dell’arca di Dio presa dai filistei e della morte del sacerdote Eli e dei suoi due figli; il 5 dell’arca presa e portata in esilio dai filistei; il 6 dell’arca rimandata dai filistei a Israele, dopo sette mesi. I capitoli 4-6 sono episodi di uno stesso dramma: il racconto o le vicende dell’arca. La sconfitta d’Israele pone una questione teologica in merito alla “realtà di Dio”: diversamente dall’esodo, qui è Israele a essere sconfitto e umiliato; è il Dio d’Israele appare essere vinto dagli dèi pagani e la sua arca presa e portata in esilio ad Asdod, come un trofeo. In realtà, il Signore non può essere vinto, e la potenza di Dio, che non abbandona l’arca nonostante l’esilio, si mostra contro i filistei. L’arca è portata in esilio ma Dio non è certo prigioniero, né impedito di operare. Il capitolo 5 racconta come il Signore abbatte le divinità pagane e opera (come nell’esodo) per liberare l’arca dalle mani dei filistei.
5,1-5. Dopo la sconfitta d’Israele, i filistei prendono l’arca di Dio e la trasportano da Eben-Ezer ad Asdod. Con questa annotazione inizia il capitolo 5, e il “quindi” lega questi fatti ai precedenti. Il lettore attento è colpito non solo dai fatti narrati, ma anche dalla geografia e dal significato dei nomi. Eben-Ezer significa “pietra di soccorso”, ma questa volta Dio non è in soccorso d’Israele: perché? Asdod è una delle cinque città dei filistei, elencate in 6,16; una delle città principali della pentapoli filistea (Giosuè 13,3), città indipendenti ma capaci di una azione comune. La scena ha inizio nel tempio di Dagon ad Asdod. Dagon è la divinità delle messi, il cui culto si estende dalla Palestina alla Mesopotamia; è raffigurato come mezzo uomo (parte superiore) e mezzo pesce (parte inferiore); il suo nome si trova già menzionato nel codice di Hammurabi; Baal è chiamato “figlio di Dagon”. L’arca catturata viene trasportata accanto alla statua di Dagon, come un trofeo di vittoria, per mostrare, nelle intenzioni dei filistei, la sottomissione del Signore a Dagon. Per i filistei, Dagon è il dio più potente; per loro, il Signore è sconfitto. I filistei non conoscono ancora la vera natura e il vero potere del Signore; non conoscono i primi due comandamenti su Dio (Esodo 20,3-6). In questa prima parte del racconto tutto si svolge in tre giorni. La prima mattina dopo la conquista dell’arca, i filistei (Asdodei) trovano il dio Dagon con la faccia a terra davanti all’arca: Dagon è abbattuto e si è inchinato davanti a Dio. La narrazione riferisce un capovolgimento teologico e non si sofferma sul problema dei manufatti religiosi. Il dramma cresce di intensità. Dagon è puntellato e messo di nuovo al suo posto, come accade alle statue degli dèi pagani (Isaia 46,6-7). Ma il giorno dopo Dagon viene di nuovo messo in ginocchio davanti a Dio, questa volta è “senza testa e senza mani”: senza testa per pensare e senza mani per agire. A Dagon è tolto il potere di agire e di pensare. La frase “il giorno dopo i filistei si alzarono di buon’ora” richiama i vangeli: le donne vanno al sepolcro la mattina presto per ungere il corpo di Gesù. Come le donne del racconto evangelico, i filistei vanno al tempio la mattina presto, aspettandosi di trovare un trionfatore, Dagon, e uno sconfitto, il Dio d’Israele. Ma le cose non stanno così: il potere della vita appartiene soltanto a Dio, né la morte né Dagon possono gestire la vita; l’arca può essere presa, se Dio lo permette, ma la gloria di Dio non va in esilio e la sua potenza non è mai imprigionata.
5,6-12. Nella seconda parte del racconto il capovolgimento è completo. Il Signore stende o fa pesare la sua mano sui filistei: come nell’esodo sugli egiziani (Deuteronomio 26,8), così ora su Asdod e sulle città dei filistei. Non solo Dagon è distrutto (di lui rimane solo il tronco e l’usanza dei filistei di non mettere i piedi sulla soglia), ma pure il popolo è colpito con una pestilenza. L’afflizione fisica dei bubboni richiama le piaghe d’Egitto. Gli abitanti di Asdod decidono di mandare via l’arca, che è portata prima a Gat e poi a Ecron, ma anche queste sono colpite: lo stesso dramma si ripete a Gat e a Ecron. L’arca diventa un oggetto scomodo e non si sa dove metterlo: passa di città in città, e nessuno più la vuole. Persino il panico di morte causa vittime tra i filistei, oltre a quelle causate dall’epidemia. Nel capitolo 4 si odono le grida di sconfitta d’Israele (4,13), ora sono i filistei che gridano (5,12): il grido di Silo è sostituito dal grido dei filistei, come in Esodo 11,6 con l’Egitto. I filistei riconoscono (come gli egiziani) chi è veramente il Signore, il Dio d’Israele, e qual è la sua mano potente o pesante (kabod). Nessuno può impedire a Dio di compiere meraviglie.