Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Quando la memoria perde la dimensione della speranza si chiude alla prospettiva del futuro che la alimenta e le dà energia e vitalità. Fare memoria del passato senza la speranza del futuro diventa semplicemente la ripetizione di un passato che non torna. La speranza invece è apertura verso un futuro prossimo, non ancora presente, che Dio realizzerà, ma che è compimento di ciò che già abbiamo in Cristo, secondo la nota formula del “già e non ancora”. Proviamo a illustrare questi concetti richiamando la storia biblica dei patriarchi dell’Antico Testamento, per poi tornare alla comunità in ascolto e applicare nell’oggi gli insegnamenti biblici.


Il ruolo dei patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe, è stato sempre quello di dare visibilità della promessa di Dio ai loro figli e discendenti. La loro è una storia di fede in cammino, in continuo movimento: da un luogo ad un altro, sempre però guidati da Dio nel loro peregrinare; una storia che si trasmette da “fede a fede”, secondo l’apostolo Paolo (Romani 1,17). La loro è una fede che non vede ancora la realizzazione della promessa, ma la spera, e non dubita perché si fonda sulla parola e sulle promesse di Dio. Il futuro che si spera non è un pio ottimismo che tutto andrà bene, non una vaga attesa utopica che serve solo come pulizia dell’anima e della mente. Nient’affatto. Il futuro è fiducia di possedere le cose promesse da Dio, quel Dio che trasforma il presente in speranza di un futuro ancora possibile, anzi, certo. Il futuro è dono di Dio. Giacobbe, ormai vecchio e morente, nell’atto di benedire la prole di Giuseppe prima, Efraim e Manasse, e tutti i suoi figli poi, rivolge loro un discorso tutto centrato su Dio e sulla sua promessa, proiettando così le loro menti non sul presente dell’Egitto, bensì sul futuro che Dio realizzerà per loro e per i loro discendenti. Il suo discorso genera nei figli e nei discendenti nostalgia per la terra promessa e il desiderio di ricercare la realizzazione della promessa di Dio. L’Egitto, con le risorse di grano disponibili in tempo di crisi, grazie all’amministrazione di Giuseppe, può essere per i figli d’Israele motivo valido e ragionevole per stabilire la loro dimora definitiva nel paese del Nilo, dimenticando la terra promessa. Il futuro di Dio mette così in discussione il presente dell’impero. Il motivo della “predicazione” di Giacobbe dunque, nei suoi ultimi discorsi e benedizioni profetiche è chiamare la sua famiglia a vivere della promessa di Dio, alimentata dalla speranza, e non lasciarsi imprigionare dalla seduzione dell’Egitto. Ancora un ultimo dato. Tutti i grandi patriarchi, Abramo, Isacco e Giacobbe, sono sepolti nella “tomba di famiglia”, a Macpela, nel paese di Canaan; persino le ossa di Giuseppe sono trasportate, durante l’esodo, nella terra promessa. E questo crea un legame affettivo che fa desiderare la terra dei padri, che fa vivere nell’attesa del compimento della promessa di Dio ad Abramo.


Che cosa insegna la storia dei patriarchi alla comunità in ascolto della Parola? Quale lezione si può trarre per noi e la chiesa di oggi? La nostra memoria deve guardare non alla tradizione della propria chiesa, ma all’insegnamento che lo Spirito Santo dà alla chiesa nella Scrittura. Altrimenti si rischia di vivere di nostalgia per un passato che non torna e si dimentica che la nostra meta è tendere e crescere verso il futuro, anzi, è vivere l’attesa di Colui che viene. Si eviterà così la ripetizione di un modo di essere chiesa che è sempre uguale a se stesso, motivo per cui non interessa più ai molti che pure sono alla ricerca di un cammino di fede. Chi invece si lascia guidare e governare dallo Spirito Santo, attraverso la ricchezza e il dinamismo della Scrittura, riceve vitalità e cresce all’immagine del Figlio di Dio. La chiesa che vuole essere veramente “di Cristo” o “di Dio” è quella cha ha uno sguardo in  grande (makrothymia) e una vista lunga; è quella che guarda non al proprio passato, ma a un passato lontano, fino a scorgere gli apostoli e i primi discepoli di Gesù nelle pagine del Nuovo Testamento; è quella che vede le sue origini nell’insegnamento del Nuovo Testamento e il suo compimento nella casa del Padre; è quella che forma la sua memoria nella storia antica dei profeti e degli apostoli, messaggeri e testimoni del Signore; è quella nella quale lo Spirito Santo rende presente il Cristo risorto e fa vivere la speranza nell’attesa della parusia.


Come mantenere memoria e speranza nella predicazione? Predicando non le tradizioni della propria chiesa o un passato fatto di concetti astratti, di formule vuote, di semplici contenuti dottrinali, bensì riscoprendo la storia della salvezza contenuta nella Bibbia e annunciando Colui che è la speranza dei cristiani: “Cristo Gesù la nostra speranza” (1 Timoteo 1,1).

Paolo Mirabelli

15 novembre 2019

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.