Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

La parabola: Il giudice iniquo e la vedova insistente (Luca 18,1-8). Un giudice privo di coscienza morale (non temeva Dio), per togliersi dai piedi una vedova che continuamente lo importunava con la querela insistente, tipica degli orientali, finisce per farle giustizia. I profeti ricordano la triste piaga della giustizia in oriente, dove abusi di ogni genere si moltiplicavano da parte di funzionari praticamente indipendenti e alle prese di continuo con gente superba e baldanzosa per le proprie ricchezze. Sicuri di non essere perseguiti dal potere centrale, i giudici agivano secondo il proprio tornaconto personale. “I tuoi capi sono ribelli e complici di ladri. Tutti amano regali e cercano ricompense. Non rendono giustizia all’orfano e la causa della vedova non arriva mai da loro” (Isaia 1,23). “Guai a coloro che emettono decreti iniqui e scrivono sentenze oppressive, che negano giustizia ai miseri e derubano dei loro diritti i poveri del mio popolo, così che le vedove diventino loro preda e spoglino gli orfani” (Isaia 10,1). Le vedove, unitamente agli orfani e agli stranieri, erano gli emarginati nella società antica, sottoposti a tutti i soprusi dei potenti. Il giudice della parabola era giunto a elevare quale esclusivo criterio del suo agire il proprio interesse, viene definito da Gesù “un uomo che non aveva timore di Dio e non si curava di alcun uomo”. È il simbolo eloquente dell’egoista che con prepotenza eleva se stesso a norma della propria vita. La vedova della parabola rappresenta, invece, tutti i deboli e gli oppressi, ai quali il giudice non fa caso, proprio perché privi di appoggi. Non è detto che sia una persona anziana; potrebbe anche essere stata una vedova giovane, carica di figli, insidiata nei pochi beni che possiede, forse un prato, un bosco, una quota di eredità. Per rivendicare il proprio diritto si rivolge al giudice del luogo (oggi corrispondente al pretore) incaricato di trattare le cause più piccole. Ma il giudice sta dalla parte dei forti, dei protetti, dei raccomandati, e non ascolta la causa della vedova, la quale però non si arrende e ricorre all’arma dei deboli: la tenace e persistente richiesta. Alla fine il giudice cede e dà ragione alla vedova per poter così trascorrere i suoi giorni in pace. Il soliloquio del giudice è un ornamento letterario per meglio presentare la malvagità del giudice e l’insistenza della donna vedova. Il “non mi importuni fino a morirne” è una metafora per indicare la noia del giudice. Il verbo (morire) va quindi preso in senso simbolico, per presentare la noia mortale del giudice al pensiero della continua insistenza di quella vedova ostinata. Oggi noi diremmo: “Le darò ragione altrimenti con la sua insistenza mi farà venire un esaurimento nervoso, mi farà morire d’infarto”.


Il significato della parabola. Vi è un aspetto su cui insistono quasi esclusivamente i commentatori: la necessità della tenacia di non arrendersi mai, di resistere al malvagio, di insistere nella preghiera. Presto o tardi arriverà la vittoria o la liberazione. I cristiani, abituati alla lettura del vangelo, hanno una tremenda capacità di resistenza: la loro preghiera fiduciosa rivolta al Signore non mancherà di ottenere i risultati al momento opportuno. L’introduzione data da Luca conferma questo intento: Gesù pronunciò la parabola per insegnare di “pregare sempre e di non stancarsi mai” (18,1). Lo stesso scopo sembra essere indicato anche da Gesù, chiamato qui il Signore, quando sottolinea che Dio darà ascolto agli eletti che gridano a lui “giorno e notte” (18,6). L’insegnamento sull’efficacia della preghiera insistente è quindi logico e giusto, corrispondente all’intento di Luca nello scrivere il suo vangelo, che si può definire Il vangelo della preghiera. Avremmo qui nella parabola un esempio tipico del modo in cui talora Gesù si esprime, una storia in sé scandalosa conduce per contrasto a una conclusione confortante. L’odioso giudice non rappresenta Dio, ma è solo un termine di paragone. Se persino il giudice malvagio si arrende, sia pure per un motivo egoistico, all’appello del povero, quanto più Dio ascolterà la preghiera che gli viene rivolta con insistenza, lui che è il padre amoroso di tutti. Se il giudice iniquo, pur non volendo ascoltare la domanda della vedova, finisce per darle ascolto, tanto più Dio ascolterà la preghiera dei suoi eletti, “essendo egli paziente nel dare loro ascolto”. La parabola vorrebbe quindi suscitare nell’orante la certezza di venire esaudito al momento opportuno. Il motivo del ritardo nell’esaudimento di questa preghiera starebbe nel fatto che Dio attende la conversione degli oppressori; come risulta da una frase petrina: “Il Signore non ritarda l’adempimento delle sue promesse, come certuni (quelli che ritenevano imminente la parusia) pensano; egli usa pazienza verso di voi, perché non vuole far perire nessuno; ma attende che tutti abbiano modo di pentirsi. Il giorno del Signore verrà come un ladro. Nell’attesa cercate di essere senza macchia e irreprensibili davanti a Dio, in pace. La pazienza del Signore nostro consideratela salvezza” (2 Pietro 3,9-15). Il “fare giustizia” suppone infatti un periodo di sofferenza, di oppressione, di persecuzione, nel quale i cristiani attendono la venuta di Gesù per ristabilire la giustizia e togliere ogni potere agli oppressori. Proprio nei momenti di sofferenza il ritardo è più sentito e crea un grave problema. Luca risponde mediante la parabola di Gesù che non si deve perdere la fiducia; se Cristo, il giudice, tarda a venire è solo per la sua bontà, in quanto attende la conversione dei malvagi. Ma non occorre disperare, egli verrà, perché non può non udire la preghiera dei suoi “eletti”. “Come la folgore passa dall’oriente all’occidente, così sarà pure la venuta del Figlio dell’uomo” (Matteo 24,27). La venuta del Cristo costituirà quindi una sorpresa inaspettata. Qui Luca aggiunge una domanda inquietante: “Quando egli verrà, troverà ancora la fede sulla terra?” (18,8). La fede di cui si parla non è una fede teologica, razionale, ma una disposizione d’animo che crede alla bontà della causa di Gesù (anche se per il momento è perseguitata e presa di mira) e che con fiducia ne attende la giustificazione da parte di Dio.


Il valore perenne della parabola. Seguendo l’esempio di Luca che ha applicato la parabola di valore universale all’attesa della parusia (problema particolarmente sentito dai primi cristiani), ne segue che noi pure possiamo applicare la parabola ai nostri casi particolari. Eccone tre. 1) Non dobbiamo temere a presentare a Gesù i nostri problemi specifici, chiedendo l’aiuto a Dio. Anche se sembra che Dio non ci ascolti, verrà di fatto il momento in cui ci esaudirà, perché egli è un Dio d’amore e di misericordia, ben diverso dal giudice iniquo della parabola. Naturalmente non si deve pensare a un Dio che debba intervenire ogni volta per correggere i nostri sbagli, egli ci esaudirà, ma a modo suo, quando lo riterrà opportuno e conveniente. “Questa è la fiducia che abbiamo in lui, se domandiamo qualcosa secondo la sua volontà, egli ci esaudisce in quel che gli chiediamo, noi sappiamo di avere già le cose che gli abbiamo domandate” (1Giovanni 5,14s).  2) L’insegnamento di Gesù ci fa poi ricordare che il cambiamento totale della società umana avvererà solo al momento della venuta gloriosa di Gesù, quando il male sarà tolto. 3) Nel frattempo bisogna mantenere la nostra fede attendendo fiduciosi la trasformazione dei nostri cuori e delle nostre menti. Così quando Cristo verrà (nel tempo e nel modo che Dio riterrà più opportuno) possiamo sperare che vi sarà ancora fede nel mondo. È il suggerimento evidenziato anche da Gesù: “State bene attenti! Che le vostre menti non si appesantiscano nella crapula, nell’ebrietà e nelle cure dell’esistenza; vegliate sempre, pregando per stare saldi dinnanzi al Figlio dell'uomo.”  (21,34ss). Così “salverete voi stessi con la vostra costanza” (21,29). In questo senso la parabola, che abbraccia ogni tempo e ogni circostanza, diviene una parola di conforto per tutti i credenti.


Commento degli editori. La parabola del giudice iniquo e della vedova importuna, che si trova nella sezione del viaggio di Gesù verso Gerusalemme, riguarda il tema della preghiera. Il capitolo 18 del vangelo di Luca si apre proprio con un dittico sulla preghiera: giudice e vedova (18,1-8), fariseo e pubblicano (18,9-14). Le due parabole insegnano che la preghiera deve essere incessante (la prima) e fatta con umiltà davanti a Dio (la seconda). La parabola del giudice iniquo, che fa giustizia alla vedova per non essere da lei importunato, concorda, nel suo pensiero fondamentale, con quella dell’amico importuno (11,5-8), e mette in evidenza la potenza della preghiera. Il pensiero fondamentale della parabola è questo: i discepoli devono pregare sempre e non scoraggiarsi se l’esaudimento delle loro preghiere si fa attendere. Il “sempre” significa: per qualsiasi cosa vi stia a cuore; il “non stancarsi” significa, di conseguenza: non mai dubitare della forza della preghiera. Per mettere in evidenza la necessità della preghiera perseverante, Gesù si serve di un caso preso dalla vita umana: una vedova (che già nell’Antico Testamento è l'immagine di una persona indifesa e debole) sta di fronte a un giudice iniquo e lo vince con la sua ostinazione. La figura del giudice qui delineata non è un caso di eccezione, ma il tipo frequente, normale, del giudice a cui sono abituati a quel tempo. La vedova si trova implicata in un processo, per un danno subito, e chiede al giudice una sentenza con la quale le venga resa giustizia. Il giudice non pensa di accondiscendere alla richiesta della vedova, persona sola e debole. Il suo soliloquio svela i suoi sentimenti. Egli però decide poi di esaudirla, non per un senso di giustizia, ma unicamente perché l’insistenza di lei nel chiedere gli dà noia e fastidio. Nell’insegnamento finale della parabola è tratta una deduzione dal più piccolo al più grande, cioè dal giudice iniquo a Dio. Il personaggio principale della parabola non è tanto la vedova orante, che stanca il giudice, quanto il giudice stesso. Egli viene paragonato a Dio. Il punto culminante della parabola non sta tanto nella ostinazione della preghiera, quanto nella certezza dell’esaudimento. Nella parabola non viene detto come dobbiamo comportarci noi nella preghiera nei confronti di Dio, ma come Dio si comporta di fronte alle nostre preghiere. Se già un uomo cattivo, come il giudice, per semplice egoismo si lascia indurre dalla domanda di una povera donna indifesa ad aiutarla, quanto più Dio esaudirà le grida d’implorazione dei suoi eletti. L’esitazione di Dio è apparente: egli non lascerà mancare il suo aiuto; egli farà giustizia nel senso che ascolterà le preghiere dei suoi. Dio non può restare sordo di fronte alla domanda insistente dei suoi figli e può dare solo cose buone.


Breve commento a Luca 18,8b. Il detto finale è un tema classico dell’apocalittica. Un aspetto della difficoltà della preghiera è il suo divenire quotidiana, il suo essere perseverante, il suo non venire meno. La preoccupazione evangelica di insistere sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi, senza tralasciare, è rivelatrice della situazione di quelle comunità nelle quali è ormai presente il fenomeno del rilassamento della fede e della preghiera. Luca avverte: abbandonare la preghiera è l’anticamera dell’abbandono della fede. Il passare del tempo è la grande prova della fede e della preghiera. La fatica di perseverare nella preghiera è la fatica di dare del tempo alla preghiera. La preghiera insistente fa della fede una relazione quotidiana con il Signore. Non è vero che quando preghiamo non facciamo nulla, non produciamo. Pregare è uno spazio e un tempo di comunione con il Signore. Pregare è affidare la nostra vita al Signore.


Nota degli editori. Questa parabola de Il giudice iniquo e la vedova insistente (Luca 18,1-8) è tratta dagli appunti scritti a mano di Fausto Salvoni (1907-1982) sulle parabole di Gesù. Alla trascrizione del manoscritto e alla correzione e edizione del testo hanno collaborato: Cesare Bruno, Roberto Borghini, Paolo Mirabelli.

Fausto Salvoni

03 settembre 2019

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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