Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Il capitolo 22 del vangelo di Matteo mostra il clima di polemica che regna fra i diversi gruppi religiosi del giudaismo del tempo. C’è, ad esempio, la questione legata alla risurrezione dei morti, che i sadducei negano e i farisei affermano; la questione del grande comandamento. Tale clima di continua polemica e tensione confonde le persone e le allontana dalla Scrittura e da Dio. È vero che Gesù è riconosciuto maestro persino dai capi religiosi, dai suoi avversari, ne sono la prova proprio le continue domande che gli sottopongono, ma il più delle volte lo fanno “per metterlo alla prova” (22,34). Come accade nel nostro testo, a proposito del tributo a Cesare. La presenza degli erodiani evidenzia ancora di più le intenzioni ostili dei farisei di “coglierlo in qualche fallo nelle sue parole” (22,16). Gli erodiani, infatti, considerano legittimo il potere di Cesare e la dominazione dei Romani, mentre per quasi tutti gli altri gruppi ebraici del tempo è insopportabile. Evidentemente non basta un motivo religioso per far condannare Gesù, c’è bisogno pure di un’accusa politica, e loro sperano che Gesù dichiari illegittima l’occupazione romana, come sostengono gli zeloti, così da poterlo accusare. Nella sua risposta, Gesù lascia i suoi avversari spiazzati e senza argomenti. Alla domanda trabocchetto che gli viene rivolta, egli evita la politicizzazione dell’immagine di Dio e si oppone alla sacralizzazione del potere politico. Da un lato si distanzia dagli zeloti, che considerano Dio come unico Cesare legittimo, e dall’altro critica la sacralizzazione e l’assolutizzazione del potere politico, demitizzando Cesare. Cesare c’è, ma c’è qualcuno che addirittura è al di sopra di Cesare: e questi è Dio. A Cesare non bisogna dare tutto, ma solo ciò che porta la sua effige e la sua iscrizione. Sopra tutto e tutti c’è Dio: e a Dio bisogna dare ciò che è di Dio.


Al Maestro veritiero, che insegna la via di Dio secondo verità e non guarda in faccia a nessuno (22,16), viene posta la domanda sulla legittimità o meno di pagare il tributo a Cesare, l’imperatore romano. Pagare le tasse è una questione spinosa sempre attuale, come emerge dai dibattiti di questi giorni. Gesù risponde riproponendo la stessa alternativa tra Dio e gli uomini. Si dia pure il tributo a Cesare, ma si sappia che la scelta veramente decisiva consiste nel rendere a Dio quel che è di Dio, proprio come prima era stato decisivo sapere che il battesimo di Giovanni veniva dal cielo, non dagli uomini (21,23-27). Per giungere a questa conclusione Gesù si fa mostrare una moneta del tributo e poi chiede di chi sia l’effigie e l’iscrizione che vi sono impresse. Alla risposta che esse appartengono a Cesare, Gesù replica affermando: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio”. Il verbo greco usato in questa risposta, apodi domi, significa non solo un semplice dare, quanto piuttosto un restituire, un dare indietro. Restituite a Cesare ciò che è suo, come mostra l’effigie e l’iscrizione, ma più di ogni altra cosa restituite a Dio ciò che è Dio, ciò che porta impresso in sé la sua immagine: l’uomo. È l’uomo che porta l’immagine e la somiglianza di Dio, e dunque gli deve essere restituito. Tertulliano, nel commentare queste parole di Gesù, così scrive: “Quali saranno le cose di Dio che siano simili al denaro di Cesare? Si intende l’immagine e la somiglianza con lui. Egli comanda quindi di rendere l’uomo al creatore, nella cui immagine e nella cui somiglianza era stato effigiato”. Se il tema dell’immagine rinvia certamente alla Genesi e alla creazione, all’uomo creato a immagine di Dio, il tema dell’iscrizione si ritrova nei profeti, in un brano di Isaia in cui si designa l’appartenenza dell’uomo a Dio: “L’uno dirà: Io sono del Signore; e un altro scriverà sulla sua mano: Del Signore” (44,5). Come la moneta di Cesare ha impressa la sua immagine e la sua iscrizione, così l’uomo porta in sé l’immagine e l’iscrizione di Dio, e a Dio va restituito. Poiché l’uomo porta in se stesso l’immagine e il sigillo del Signore (il cristiano porta in sé il sigillo dello Spirito Santo), a lui appartiene, a lui deve obbedire.


Le parole di risposta di Gesù ai suoi avversari sono particolarmente importanti nella loro seconda parte, non necessaria perché non richiesta dalla domanda, quando egli afferma che bisogna dare a Dio quel che è di Dio. Questa rivendicazione significa che se l’imperatore (la politica) esigesse per sé ciò che spetta soltanto a Dio, come l’adorazione (anticamente questo avveniva), il cristiano non è tenuto a inginocchiarsi davanti al lui, non è tenuto ad ubbidirgli, anzi deve confessare che soltanto Gesù è il Signore della sua vita. Le parole di Gesù spingono ogni cristiano a porsi la domanda: a chi appartiene la mia vita, a chi io stesso appartengo, e chi è il mio Signore?

Paolo Mirabelli

19 giugno 2019

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.