Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Il bambino che perde i genitori non può stare da solo: ha bisogno di avere qualcuno in cui riporre la sua fiducia, qualcuno che gli dia sicurezza e si prenda cura di lui. Egli cerca spontaneamente un punto di riferimento nella vita.  Molti credono che, nell’alto dei cieli, ci sia un Padre che si prende cura di loro. C’è però chi lo rifiuta e, arrogantemente, afferma di potercela fare da solo nella vita, noncurante del fatto che siamo troppo piccoli per un impegno così grande. C’è poi chi dubita in cuor suo che Dio posso aiutarlo, ed ecco che si presenta subito l’ansia, la preoccupazione, per le cose della vita. Non siate con ansietà solleciti di cosa alcuna: è un’esortazione ripetuta spesso nel Nuovo Testamento. Ciò che stupisce è che queste parole siano rivolte ai cristiani, i quali dovrebbero riporre con fiducia la loro vita nelle mani di Dio. Il Signore non condanna la programmazione, la riflessione, l’impegno, ma la preoccupazione per il domani, l’ansia che fa perdere il gusto della vita, la gioia di vivere. E la lettera ai Filippesi è piena di gioia; è un inno alla gioia, con continui inviti a gioire nel Signore, che tutto può. E allora il rimedio a questa malattia che inquieta e affanna persino il cristiano è: sollevare lo sguardo verso l’alto, verso il Padre che sta nei cieli. Non un atteggiamento quietista, ma di fiducia in Dio, consapevoli che colui che si prende cura dei passeri e dei gigli dei campi, non farà mancare il necessario ai suoi figli. Questo significa affrontare la realtà in modo nuovo. Anche di fronte alle difficoltà più gravi, il Vangelo ci invita a mantenere la pace interiore e la fiducia che la vita è nelle mani di Dio. La signoria di Dio è per la nostra libertà: egli ci libera dagli affanni e preoccupazioni angoscianti. L’affanno dal quale ci mette in guardia è pretendere di tenere la propria vita ben stretta in pugno, o di poterla progettare con l’opera delle proprie mani e l’estro del proprio ingegno, senza fare riferimento a Dio.


Nella parte finale della lettera alla comunità di Filippi  Paolo si attarda in una serie di esortazioni e raccomandazioni. Il versetto precedente si conclude con una invocazione tipica dei primi cristiani: “Il Signore è vicino” (in alcune versioni questa frase è parte del versetto 6). Ed è questa vicinanza che dà motivo all’apostolo di rivolgere l’invito a vivere la gioia, una gioia ben fondata perché il cristiano sa che il Signore è vicino: ne coglie la presenza, ne vive l’attesa. La sua vicinanza funge da deterrente contro ansie incontrollate. Chi nella propria vita lascia operare la parola “il Signore è vicino” sperimenta già qui e ora (hic et nunc) la gioia e la pace di Dio. Paolo non pensa certo alla pace degli uomini, il più delle volte effimera, ma alla calma interiore del cuore che ha il suo fondamento nelle promesse di Dio. Il cristiano che organizza la propria esistenza alla luce della presenza e vicinanza del Signore veniente, non si lascia irretire da lacci che frenano il suo impegno, che smorzano la sua serenità di fondo.


Paolo non fa mistero circa le reali e spesso dure difficoltà della vita, che persino il cristiano a volte è chiamato a vivere. Nel capitolo 1,13, ad esempio, egli parla delle sue catene, della prigionia. Ma il buio non può durare più a lungo della notte. La luce del giorno arriva presto. Il giorno è sempre più vicino, man mano che le ore passano. Il Signore è vicino a tutti quelli che lo invocano, recita il Salmo 145,18. Non giova a nulla lasciarsi prendere da ansiose sollecitudini e inquietudini che bloccano la vita, paralizzano il cristiano e lo rendono inoperoso e improduttivo. L’antidoto a una vita ansiosa e angustiata è la preghiera, la fiducia nel Dio che non abbandona i suoi figli, non permette che il giusto rimanga senza pane. La contrapposizione è tra “non siate in ansia” e “ma in ogni cosa pregate”; il confronto è tra l’ansia e la preghiera, tra una vita angustiata e una vita che sa rivolgere a Dio le proprie richieste, in preghiere e suppliche.  Il verbo greco merimnao (vivere con ansia, angustiarsi, preoccuparsi in modo eccessivo) è lo stesso che troviamo in Matteo 6,25.30, dove Gesù raccomanda un totale e sincero abbandono nelle mani di Dio (alludendo all’esodo). Un invito a vivere della promessa di Dio. Tutto prende senso e valore nel vivere in comunione con il Signore. La fiducia in Dio si concretizza nel manifestare a lui le situazioni della vita attraverso le preghiere, suppliche e ringraziamenti. Non è certo un far conoscere a Dio qualcosa che non sa, ma la preghiera è il modo che il cristiano ha di mantenere l’ascolto e il dialogo con Dio, nel sereno abbandono alla sua volontà, nella fiduciosa attesa davanti a lui. Colui che è capace di pregare e ringraziare, depone il suo affanno davanti a Dio, rimette la sua vita nelle mani del Signore che è vicino.

Paolo Mirabelli

05 febbraio 2019

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.