Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Poche parole introduttive per descrivere la situazione politica, sociale, religiosa in cui predica il profeta Amos. Nel secolo VIII Israele, il regno del nord, conosce un periodo di espansione. Grazie al commercio si arriva ad avere una prosperità sconosciuta in precedenza. Aumenta la popolazione e le risorse economiche. Fiorisce l’agricoltura e il tessile. Migliora il livello di vita e abbonda il lusso nelle costruzioni. Ma a questa prosperità si contrappone il degrado sociale. Sorgono grandi contrasti tra ricchi e poveri. I poveri diventano sempre più poveri, mentre i ricchi godono nel lusso. Spesso coloro che si sono indebitati sono costretti a servire come schiavi per sopravvivere. Prende forma un “capitalismo” oppressivo nei confronti dei più deboli. I ricchi sono pronti ad aumentare le loro terre, falsare le misure e le bilance nel mercato, corrompere i giudici. All’aspetto sociale si somma la corruzione spirituale. I grandi santuari sono in piena attività, ma spesso con riti pagani: culti di fertilità, prostituzione sacra. Persino il culto al Signore si pratica con una mentalità pagana, del tipo magico-sacramentale (do ut des): farsi Dio propizio mediante riti e sacrifici, per assicurarsi pace e benessere materiale. L’esodo e l’alleanza al Sinai, se pur ricordati nelle liturgie e nel culto, sono lettera morta, considerati come privilegi per stare tranquilli. Eppure tutti aspettano fiduciosi il giorno del Signore, inteso come giorno in cui Dio metterà Israele al di sopra di tute le nazioni. La responsabilità maggiore di questo degrado spirituale ricade sui sacerdoti, che danno cattivo esempio nella loro funzione, nella vita e nei costumi. Sono al servizio del re, benedicendolo nel nome di Dio; incapaci di criticare il potere politico quando si corrompe. Sono solo interessati al profitto. In questa situazione di prosperità economica e di degrado spirituale giunge la voce del profeta Amos: una voce libera contro la “dolce vita” che calpesta la giustizia e copre l’oppressione.


Il nostro testo, unico cenno biografico di tutto il libro, riferisce la polemica tra Amos e la classe sacerdotale, legata alla corte e al potere. Il sacerdote Amatsia accusa Amos di cospirazione contro il re e vuole cacciarlo dal santuario di Bethel. Amos risponde con la serena consapevolezza della propria fedeltà alla missione ricevuta dal Signore. Il discorso di Amatsia è ben costruito, con un sapiente uso del parallelismo e una cadenza ritmata, tradotti in prosa. È evidente l’alterigia e il sarcasmo di chi si ritiene investito della funzione ufficiale di vegliare sull’istituzione regale. Amos è chiamato “veggente” (chozeh) e non profeta (nabi’), ma questo di per sé non ha un significato sprezzante: la terminologia è varia e oscillante, specialmente per i profeti più antichi. Si sottolinea la contrapposizione fra i due regni: Amos, originario di Giuda, svolge il suo ministero in Samaria, e Amatsia si ritiene autorizzato a respingerlo al suo paese. Il santuario di Bethel è, infatti, un “tempio del regno”, quasi un’istituzione politica, più che religiosa. Ritornato nel regno del sud, Amos potrà tranquillamente guadagnarsi da vivere; nel nord invece la sua attività è considerata illegittima, sovversiva e pericolosa. Nella sua replica Amos afferma con forza la propria vocazione profetica. Egli non è stato sempre profeta, né è mai appartenuto alle scuole dei profeti, che abbondavano nel paese. Al contrario, era un allevatore e un contadino, aveva un lavoro e delle proprietà che gli consentivano di vivere dignitosamente, senza dover ricorrere, come sembra insinuare Amatsia, alla carità pubblica presso i santuari. È il Signore che lo chiama da dietro il gregge. E alla chiamata di Dio Amos ubbidisce. È fuori discussione quindi che Amos abbandoni la sua missione.


Le difficoltà nell’identificare il precedente mestiere di Amos sono di poco conto: il versetto 14 sembra alludere all’allevamento di bovini, mentre il 15 parla di “gregge”, quindi di ovini. Quanto al sicomoro, la cui corteccia veniva incisa per utilizzarne i succhi, Amos sarebbe stato proprietario delle piante, da cui ricavava il foraggio per il suo bestiame. Sia che fosse un pastore o un incisore di sicomori, sia che fosse proprietario di terre e bestiame, in ogni caso Amos viveva del suo lavoro e non era profeta prima della vocazione. E ciò che va ricordato al riguardo è che Dio sceglie sempre chi vuole, indipendentemente dalle sue qualità umane, dalla sua condizione sociale, dal suo livello di preparazione culturale. Il profeta Amos ne è un esempio: un semplice pastore e raccoglitore di sicomori, che il Signore un bel giorno, senza il minimo preavviso, chiama, anzi “prende”, e manda a profetizzare al suo popolo. Anche in questo caso, nel medesimo istante in cui chiama, Dio affida una missione: “Vai...”, senza lasciare al chiamato troppo tempo per meditarci sopra.

Paolo Mirabelli

22 gennaio 2019

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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