Dopo il prologo, l’evangelista Giovanni racconta la testimonianza del Battista, che avviene presso Betania, di là del fiume Giordano, dove le persone vanno per essere battezzate (1,19-28). Il racconto segue poi una scansione temporale, che va avanti fino al capitolo 2, introdotta dall’espressione “il giorno seguente” (1,29.35.43). Le nozze di Cana avvengono “tre giorni dopo” (2,1): ovvero dopo l’incontro con Natanaele. È come se l’evangelista volesse dire che la venuta di Gesù in mezzo agli uomini determina anche una nuova scansione del tempo in cui tutto viene ricreato da colui che è dal principio. In questo “nuovo calendario”, il primo giorno inizia quando il Battista incontra Gesù e gli rende testimonianza: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo” (1,29). Prima di tale incontro, il tempo rimane indefinito. Dopo l’incontro e la presenza di Gesù, il tempo viene contato: giorno dopo giorno, persino le ore sono menzionate.
L’antica Roma non conosce la suddivisione in settimane con un apposito nome per ciascun giorno: è intorno al primo secolo dopo Cristo che il periodo di sette giorni comincia a diffondersi. I nomi dei giorni della settimana si affermano in epoca ancora più tarda. Il mese dei Romani ha soltanto tre giorni distinti con un nome particolare: le kalendae (che corrisponde al primo giorno del mese), le nonae (il quinto giorno del mese) e le idus (il quindicesimo giorno, solo per marzo, maggio, luglio, ottobre). Gli altri giorni si indicano con il loro numero d’ordine prima delle successive kalendae. Il giorno è diviso in due parti: ciascuna parte è suddivisa in 12 ore. Per quanto riguarda l’anno, è solo dopo la riforma di Giulio Cesare nel 46 a. C. che si adotta un calendario di dodici mesi, e il primo dei mesi dell’anno diventa gennaio, non più marzo. Gennaio deriva il suo nome dal dio Ianus, il dio che ha due facce, per controllare chi entra e chi esce dalla città; Febbraio dal dio Mars, il dio della guerra, vestito come un guerriero. L’eziologia del calendario romano dimostra quanto distante sia il racconto del vangelo dai miti e dai costumi pagani. Non è nell’ambiente pagano greco-romano che bisogna cercare di capire il senso dei fatti evangelici, della storia della salvezza, bensì in un evento accaduto nella storia: la venuta del Figlio di Dio, Gesù Cristo, in mezzo a noi, che tutto ricrea e fa ogni cosa nuova. E i vangeli sono gli unici scritti per accedere a Gesù e conoscerne fatti, parole e opera. Dopo questa breve digressione, torniamo nuovamente al racconto di Giovanni.
“Il giorno dopo” (1,35), vale a dire il terzo giorno dall’inizio di questa “nuova settimana”, Giovanni vede Gesù, fissa lo sguardo su di lui che sta passando e lo addita nuovamente quale Agnello di Dio. È il compimento delle antiche profezie di Isaia e altri. È il legame tra i due Testamenti. La missione del Battista sta per concludersi: egli è soltanto il “dito” che indica il Cristo; è la voce che annuncia la venuta del Signore. I due discepoli di Giovanni seguono ora Gesù. Gesù si volta verso coloro che lo seguono e domanda loro: “Che cercate?”. Alla Maddalena, che cerca il corpo morto di Gesù, il Risorto chiede: “Chi cerchi?”. Uno dei due discepoli che seguono Gesù è Andrea, fratello di Pietro. L’altro rimane anonimo: ha un volto ma non un nome. Certamente si tratta dello stesso evangelista, ma il fatto che rimane anonimo ci permette di identificarci con lui: ciascuno di noi, ogni lettore del vangelo, può riempire quella casella vuota ed essere compagno di Andrea. Quando l’evangelista racconta l’episodio, sono trascorsi ormai diversi anni, l’emozione di quell’incontro è ancora tanta e viva in lui: ricorda persino l’ora (“la decima”, le dieci del mattino secondo il calendario romano) e non può dimenticare lo sguardo di Gesù che incontra i suoi occhi (1,38-39). I due seguono Gesù: “seguire” (akoloutheo) e il verbo usato dal vangelo per dire “diventare discepolo”. Essi iniziano il discepolato dietro a Gesù, secondo i verbi tematici: cercare, venire, dimorare, testimoniare.
Senza la sequela, la ricerca di Dio può essere soltanto un modo per tenere in scacco Dio: l’uomo può passare la vita intera a fare ricerche su Dio senza mai conoscerlo veramente. E per questo che Gesù invita i due a “venire e vedere” (1,39). Egli invita noi a fare esperienza personale dell’incontro con lui. È nel discepolato che noi dimoriamo con lui. Oggi viviamo un tempo in cui le persone non sono più interessate alla verità e all’incontro con Dio: si ricerca autenticità e senso nell’esperienza, di qualunque tipo e con chiunque. Ma non c’è esperienza che possa riempire e dare significato alla vita, senza Gesù. Andrea, dopo l’incontro con Gesù, dopo un’esperienza così forte e sconvolgente, va dal fratello Pietro e gli dice: “Abbiamo trovato il Messia, e lo menò da Gesù” (1,41).