Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

1.La parabola. Questa breve parabola de Il fico sterile (Luca 13,6-9) rientra in una serie di episodi staccati, raccolti da Luca nel capitolo 13 del suo vangelo. Anche se il nesso logico di questi brani non è facile da cogliere, vi si può ravvisare un riferimento particolare a Israele, il popolo eletto, destinato a perire se non si converte. Il padrone di una vigna vuole estirpare un fico che da tre anni non reca frutti, ma il vignaiolo lo invita a pazientare ancora per un altro anno durante il quale egli moltiplicherà per quell’albero le sue premure (concime,zappatura, acqua ecc.); solo in seguito, se la pianta continuerà a non dare frutti, il padrone potrà estirparla. Non vi traspare alcuna allusione ad eventuale trascuratezza del vignaiolo; nel contadino sussiste solo il desiderio di salvare quell’albero dalla sua estirpazione mediante un estremo tentativo di renderlo fruttuoso.


2.I tre anni. Non penso che si debba insistere su alcuni dati della parabola, come i tre anni o un anno, per sostenere che l’attività pubblica di Gesù durò tre anni e mezzo o un anno solo. Sono particolari che servono soltanto per abbellire il racconto ma non hanno alcun significato allegorico. Non fa nemmeno meraviglia il fatto che l’interlocutore del padrone sia detto vignaiolo e che l’albero di fico sia piantato in una vigna: secondo l’uso ebraico in mezzo alla vigna potevano stare anche degli alberi (alberi da frutto). La vigna è ricordata per facilitare l’applicazione della parabola a Israele, che era la vigna di Dio (Isaia 5). Anche il fico era un’immagine del popolo eletto presso gli antichi profeti, che in tal caso stava sempre associato con la vigna. Il fico sterile, riferito a Israele, è già biasimato da Geremia, che scrisse queste parole: “Non v'è più uva nella vigna, né fichi nella ficaia.Il fogliame è avvizzito” (Geremia 8,13; cfr. Osea 9,10). Il fico posto nella vigna non si riferisce a un particolare gruppo di Israeliti, ma designa l’intero popolo di Dio.


3.Confronto con il fico sterile. L’episodio del fico sterile negli altri evangeli sinottici (Matteo e Marco) raffigura la severità del giudizio punitivo di Dio: si ricordi l’episodio del fico sterile maledetto da Gesù, e subitamente inaridito, durante la sua ultima settimana di vita (Matteo 21,18-22; Marco11,12-25). Luca, che non riporta questo episodio, riferisce invece la precedente parabola, nella quale la minaccia del castigo si trasforma in una lezione sulla pazienza di Dio. Israele, che non dà frutti, deve ravvedersi e convertirsi se non vuole perire. Dio, il Padrone, pazienta, perché Gesù (il vignaiolo) vuole compiere a suo riguardo un ultimo tentativo di salvezza. La parabola è quindi un ulteriore appello alla conversione dei giudei e rientra nella linea delle esortazioni profetiche veterotestamentarie. Tuttavia anche se quest’ultimo appello riuscirà inutile, la punizione di Israele si attuerà inesorabilmente, perché la pazienza longanime di Dio ha pure i suoi limiti. Che di fatto la conclusione appare nel gesto, già ricordato, di Gesù che maledice e fa inaridire un fico trovato privo di frutti sulla strada verso Gerusalemme. Di qui il lamento di Gesù: “Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi quelli che ti sono inviati, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come una gallina raccoglie i pulcini sotto le ali, e voi non avete voluto! Ecco la vostra casa vi sarà lasciata deserta!” (Matteo 23,37).


4.La lettura dei farisei. I farisei leggevano il testo di Geremia, o altri analoghi, sulla sterilità d’Israele ma li applicavano esclusivamente al popolo di allora, rendendo così la parola di Dio del tutto insignificante per loro. Gesù invece usa i testi antichi, ma li applica ai suoi contemporanei.


5.L’applicazione per il cristiano. Leggendo il passo dell’Evangelo a imitazione di Gesù, dobbiamo considerare rivolto anche a noi il monito di Gesù. Esso ci insegna che Dio è infinitamente paziente, perché acconsente durante la nostra esistenza un ulteriore “anno di grazia”, ma il cristiano privo di frutti (le opere della fede), non può fare conto di rimandare la propria conversione e il proprio ravvedimento in epoca futura. Tuttora Dio è paziente con il cristiano, il quale ha in Gesù un avvocato presso il Padre: “Ragazzi miei, vi scrivo queste cose affinché non pecchiate, ma se qualcuno ha peccato, noi abbiamo un avvocato presso il Padre, cioè Gesù Cristo il giusto. Egli è l’avvocato difensore per i nostri peccati, e non solo per i nostri, ma anche per quelli del mondo intero”. (1Giovanni 2,1). Ai beffardi schernitori che ai credenti chiedono “dov’è la promessa della sua venuta?”, Pietro risponde: “Il Signore non ritarda nell’adempiere la sua promessa, come certuni credono; ma usa pazienza verso di voi perché non vuole che alcuno perisca, in quanto brama che tutti abbiano modo di pentirsi”. Tuttavia questa pazienza ha un limite: “Il giorno del Signore verrà come un ladro” (2 Pietro 3,2ss). Anche la longanimità misericordiosa di Dio ha i suoi limiti: “Quelli che sono stati una volta illuminati, quelli che hanno gustato il dono celeste e cioè che sono stati resi partecipi dello Spirito Santo e hanno gustato la buona parola di Dio e la potenza della vita futura, se cadono è impossibile rinnovarli da capo con il ravvedimento, perché crocifiggono di nuovo per conto proprio il Figlio di Dio e lo espongono a infamia. Infatti la terra che beve la pioggia caduta spesse volte su di essa, se produce vegetali utili secondo lo scopo per cui è coltivata, riceve benedizione da Dio, ma se reca solo spine e sterpi, è riprovata e vicina ad essere maledetta; la sua fine è quella di essere arsa” (Ebrei 6,4-8). “Non illudetevi”, continua Paolo: “Dio non si lascia burlare. Infatti ognuno mieterà ciò che avrà seminato; perché chi semina nella propria carne, dalla carne mieterà corruzione; chi invece semina nello Spirito, mieterà dallo Spirito la vita eterna. Non stanchiamoci di fare il bene, se non ci infiacchiremo, mieteremo a suo tempo. Dunque, finché abbiamo tempo, facciamo del bene a tutti, ma sopratutto ai nostri fratelli in fede” (Galati 6,7-10).


Commento degli editori. In questa sezione il vangelo di Luca presenta una giustapposizione di idee: alla immagine del giudizio (12,49-59) segue l’esigenza del ravvedimento (13,1-5); al ravvedimento segue il tema della pazienza divina (13,6-9). Dio è giudice, Dio invita tutti al ravvedimento, Dio è paziente. Temi e dialettica vanno sempre mantenuti. Con la parabola del fico che per tre anni non porta frutto (13,6-9), il vangelo ci insegna che se il giudizio di Dio tarda, e i benefici si prolungano nel tempo, questo va letto come segno di un tempo di grazia. Urge però portare frutto prima che sia troppo tardi. Con un tono solenne, proprio a partire dai due eventi drammatici noti a tutti (13,1-5), Gesù pone ciascuno di fronte alla propria responsabilità e alla propria vita. Ogni segno presente nella storia, ricorda Gesù, ha sempre un risvolto personale: è un invito a cogliere l’importanza decisiva del tempo, la necessità di accogliere l’offerta di perdono da parte di Dio, resa attuale nella parola e nella persona di Gesù. Il discernimento a cui invita Gesù apre a una lettura della storia in profondità: il tempo che ci è donato è in vista di una salvezza, e accanto agli avvenimenti c’è la parola accorata ed insistente di Dio che ci chiama alla vita. Ogni fatto letto in questa prospettiva può essere un’occasione per mettere in gioco la nostra responsabilità, per cambiare modo di pensare e di vivere e soprattutto il nostro modo di rapportarci a Dio. Il tempo donato all’uomo in vista di una conversione si trasforma nel tempo della pazienza (makrothymia) di Dio. A questo ci orienta la breve parabola del fico sterile (13,6-9). È importante qui cogliere l’agire dei personaggi. È normale tagliare un fico, albero da frutto, che dopo alcuni anni non produce il raccolto desiderato: “Taglialo, perché sfrutta il terreno”, dice il padrone al contadino. Il contadino risponde: “Lascialo ancora quest’anno” (13,8-9). Il contadino ha uno sguardo che va oltre il fallimento e offre una possibilità e un tempo ulteriori, con un supplemento di cure: scalzare e concimare. “Taglialo, lascialo”: sono le due battute del dialogo che evidenziano il tema del giudizio e quello della misericordia e della pazienza divina. Fuori metafora, la parabola ci rivela il modo di agire di Dio in Gesù. Egli ha pazienza e il suo sguardo va lontano. La sua pazienza è spazio e tempo donati per la conversione e la salvezza. Per noi che siamo così impazienti, tutto appare incomprensibile. La pazienza di Dio ha pure un volto: Gesù Cristo. Come non riconoscere nel contadino che chiede una possibilità ulteriore lo stile di Gesù, che è venuto a chiamare i peccatori alla conversione? Con questa parabola Gesù forse rilegge pure la sua missione: tre anni di annuncio e di attesa per la “restituzione del frutto”. La parabola rimane aperta. Tutto è rimandato alla responsabilità e alla capacità di accogliere questa possibilità e questo tempo che ci sono donati. Lo spazio che ci è concesso non ha altra ragione di essere se non in Dio. E non c’è altra forza che provochi la conversione se non l’amore, la pazienza e la misericordia di Dio. Noi possiamo invertire la rotta di un modo di essere sbagliato solo se impariamo a guardare noi stessi e gli altri con lo sguardo infinito e amorevole di Gesù. Uno sguardo che va oltre i confini delle nostre possibilità, del nostro giudizio. Il Signore è abituato a vedere le cose in grande. Come un contadino, egli conosce il tempo dell’attesa, non rinuncia a lavorare, vede le potenzialità del terreno, guarda al frutto che può maturare dal fico. Allora la parabola si apre alla speranza, perché ci mostra che Dio non ha piantato l’albero per essere tagliato, ma per raccoglierne i frutti. Taglialo, è una parola di giudizio. Lascialo, è la parola della grazia di Dio in Gesù Cristo. Dio, nella sua infinita pazienza, ha prolungato il tempo del ravvedimento. Ogni uomo è invitato alla conversione, per accogliere la grazia, prima che sia troppo tardi. Nessuno può avere la faccia tosta di anticipare il giudizio che Dio nella sua pazienza vuole invece rimandare.


Nota degli editori. Questa parabola de Il fico sterile (Luca 13,6-9) è tratta dagli appunti scritti a mano di Fausto Salvoni (1907-1982) sulle parabole di Gesù. Le note e alcune parti del testo sono di Paolo Mirabelli, che ha curato la revisione, strutturato la parabola in punti e riformulato alcune espressioni. La trascrizione dei testi è di Cesare Bruno e Roberto Borghini. In merito a questa parabola abbiamo voluto mantenere il più possibile la forma, lo stile, il linguaggio, la punteggiatura e la numerazione in 5 punti di Salvoni. A dire il vero, i punti erano soltanto 4, ma noi abbiamo suddiviso il quarto punto in due, ottenendo così un totale di cinque punti. Di solito Salvoni usava penne di colore differente per la stesua dei suoi testi: una per il commento, una per le note e una per la numerazione dei punti. Ci sono poi delle note o commenti fuori testo scritti a matita, in parte cancellati, ma nonostante il passare del tempo, gli appunti possono ancora sfornare cose buone.

Fausto Salvoni

29 ottobre 2018

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.