Tra le varie norme riportate nel Deuteronomio c’è anche quella che vieta di fare prestiti di denaro a interesse al prossimo. “Non farai al tuo prossimo prestiti a interesse; allo straniero potrai prestare a interesse, ma non al prossimo, affinché il Signore, tuo Dio, ti benedica in tutto” (23,19-20). Prima di entrare in tema, una breve riflessione a latere. Diverse leggi contenute nella Torah sono in netto contrasto con le norme conosciute delle nazioni circostanti. La presenza di queste norme insolite e fuori contesto per quel tempo, che non rispecchiano la giurisprudenza del Vicino Oriente, dimostra che né Mosè né Israele sono i veri ispiratori del diritto e delle leggi, bensì Dio. Soltanto il Signore, che precorre i tempi, può avere sensibilità e attenzione verso la persona povera e debole.
La legge di Mosè vieta ai figli d’Israele di fare prestiti a interesse, né di denaro, né di viveri, né di qualunque altra cosa. Mentre lo consente nel caso in cui si tratti di uno straniero, poiché richiesto per motivi commerciali. C’è una differenza tra chi chiede un prestito per necessità e chi lo chiede per motivi di mercato. La Vulgata, seguita da alcune versioni moderne, parla d’interesse a usura, ma il testo ebraico parla semplicemente d’interesse. È proibito qualunque interesse applicato al prestito. La norma non lo dice espressamente, ma suppone, da parte di chi riceve generosamente un prestito senza interessi, il dovere di restituzione a tempo debito e onestà. La norma è fatta per tutelare i poveri del paese, come mostrano le leggi parallele dell’Esodo (22,25-27) e del Levitico (25,35-36). Parlando dell’anno di remissione, il Deuteronomio fornisce dei particolari che gettono luce sul nostro tema (15,1-18). Innanzitutto l’ideale: il Signore non vuole e non sopporta che ci sia alcun povero in Israele (15,4). Poi la possibilità che questo accada: “Se ci sarà in mezzo a voi un fratello bisognoso” (15,7). Infine la realtà umana con la quale ci si confronta ogni giorno: “I bisognosi non mancheranno mai nel paese” (15,11). Nel caso in cui ci sia in mezzo a Israele un fratello bisognoso, il Signore chiede quattro cose, che richiamano i doveri tra fratelli, e cioè: di non indurire il cuore e non chiudere la porta di fronte al bisognoso, anzi di aprire largamente e generosamente la mano e prestare (15,7-11). Il fruitore del prestito è un fratello povero e bisognoso, che si trova in necessità (15,8.11). Calamità naturali, indebitamento eccessivo, tempi di ristrettezza, malattie: possono essere tante e diverse le cause che costringono una persona povera a richiedere un prestito. E la famiglia di Dio non gli può voltare le spalle. Qui come in altri casi è un principio teologico a disciplinare la norma sui prestiti: “Il Signore, tuo Dio, è colui che ti benedice”. Israele è una comunità di fratelli, nella quale diventa insopportabile la sola vista della povertà e inaccettabile l’idea del guadagno a spese di chi è nel bisogno. L’intera comunità vive della benedizione di Dio, e nessuno può affidare al denaro o alle speculazioni finanziarie il proprio futuro e quello degli altri. Chi presta al proprio fratello povero, esigendo da lui un interesse, non fa che aumentare la sua necessità e povertà, e pecca di egoismo e di ingenerosità nei confronti di Dio, che dona i suoi beni a tutti generosamente. In una società che vive della parola di Dio diventa insopportabile la povertà altrui e inaccettabile prestare al fratello povero imponendo un qualunque interesse: l’unica regola che vige è quella della carità e dell’aiuto reciproco nelle più disparate situazioni di bisogno.
Il divieto di prestare a interesse impedisce lo sfruttamento sistematico delle ricchezze e pone un freno alla speculazione. Fino alla Riforma Protestante la norma del Deuteronomio è stata letta, da ebrei e cristiani, come un divieto di praticare l’usura e il prestito a interessi nei confronti del fratello povero e bisognoso. Non sono certo mancati coloro che hanno aggirato il precetto di Dio con delle scappatoie. “La Chiesa permette il prestito a onesto interesse quando riveste il carattere di un commercio”. Nel Medioevo la gente era preoccupata più che al prestare i soldi a come conquistare un posto in paradiso: i soldi servivano per le messe di suffragio e le opere meritorie. I calvinisti per primi teorizzarono il prestito a interesse, ma in una forma moderata. Calvino scrisse: “Io non desidero sostenere la validità dell’interesse, anzi vorrei che il suo nome fosse bandito dal mondo”. Con la modernità finisce la “società cristiana” e la ricerca dei valori. Le banche e le finanziarie la mattina non leggono la Bibbia, ma Il Sole 24 Ore o Milano Finanza. Il Deuteronomio ci insegna che l’economica di un paese non può essere governata soltanto da leggi di mercato e dall’interesse, e ci invita a ricordarci di almeno tre parole: persona, patto (berit), Dio.