Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

La parabola de I due debitori (Luca 7,40-43) si trova soltanto nel vangelo di Luca (per il contesto della parabola leggere Luca 7,36-50). L’evangelista Luca è l’unico a mettere in rilievo che Gesù accettava, non di rado, inviti a pranzo dai farisei (11,37; 14,1), i quali, dunque, non erano tutti contrari a Gesù e desiderosi di trovarlo in fallo. Dividere la mensa è sempre stato segno di cordialità e di amicizia. Uno di questi farisei, non scostanti e maligni, Simone il lebbroso, così chiamato forse per una precedente malattia alla pelle poi guarita, il quale pur non usando eccessiva cordialità forse per non compromettersi troppo con i colleghi più rigidi, invitò Gesù a pranzo. La tavola del convito stava nel centro della sala e a fianco, in semicerchio, stavano i giacigli guarniti di tappeti e di cuscini sui quali stavano sdraiati i commensali con i piedi rivolti al muro e separati da esso da uno stretto spazio riservato al passaggio dei servi. Il fatto che gli invitati non siedono a tavola, ma si distendano in divani, secondo la più solenne maniera romana, mostra che si trattava non di un pasto ordinario, bensì di una festività speciale. Secondo l’antico costume orientale, chiunque poteva entrare ed assistere come spettatore nella sala del banchetto (cfr. Luca 14,2).


La peccatrice e la parabola di Gesù. Mentre Gesù è a mensa con il fariseo, giunse inattesa una donna innominata, nota come “peccatrice”, di quella città; che nulla autorizza ad identificare con la Maddalena, tantomeno con Maria di Betania. Poteva essere chiamata peccatrice anche la moglie di una persona che esercitava un mestiere disonorante, come un agente delle tasse o un conciacapelli; ma la donna del vangelo doveva essere lei prostituta, perché mostra una profonda consapevolezza della sua deplorevole condizione umana. Senza alcuna parola dà in pianto dirotto, bagna con le proprie lacrime i piedi di Gesù, privi dei sandali lasciati per terra, li asciuga con i propri capelli (sciogliendoli così in pubblico si disonorava dinanzi alla gente), li bacia con affetto e vi versa sopra dell’olio profumato. Simone, di fronte a tale fatto, cominciò a dubitare che Gesù fosse un profeta, perché in tale caso doveva ben conoscere che razza di donna fosse e non avrebbe permesso di essere da lei toccato. L’abbracciare i piedi si faceva in Oriente in segno di omaggio, per ottenere favori o benefici da un superiore. Gesù intuendo tale pensiero narrò la parabola dei due debitori, dei quale uno doveva 500 denari, ossia una somma corrispondente a 500 giornate di lavoro, e il secondo 50. Essendo entrambi privi di denaro, il padrone condonò il debito a tutti e due i debitori. Simone alla domanda di Gesù “chi dei due amerà di più il suo padrone?”, risponde: “Colui che ha ricevuto il condono più grande”. L’amore assume qui il senso di gratitudine, in quanto la lingua aramaica (al pari della siriaca e dell’ebraica) usa il verbo amare anche nel senso di ringraziare; infatti non può essere veramente grato colui che non ama. Gesù gli dà ragione e ritorce il suo dire contro di lui (contro il fariseo) che, a differenza della donna, non gli ha “versato l’acqua sui piedi”: così va tradotto il greco che segue una forma semitica (cfr. Numeri 19,17), anziché “non mi hai portato l’acqua per i piedi”. Seguendo tale uso, anche Gesù nell’ultima cena ha versato l’acqua sui piedi degli apostoli e li ha asciugati di persona. Inoltre, Simone non gli ha nemmeno dato un bacio, né versato dell’olio sul capo. Fin qui non vi è difficoltà. La difficoltà inizia al verso 47, dove sembra essere asserito il contrario: “Le è perdonato molto, perché molto ha amato”. Infatti solo dopo tale prova di amore la donna si sente dire: “Ti sono perdonati i tuoi peccati” (verso 48), e la conclusione dice che la sua fede in Gesù l’ha salvata (verso 50). Di conseguenza nella parabola il condono precede l’amore, mentre nella donna peccatrice l’amore e la fede precedono il perdono dei peccati.


Come tentarne l’accordo? Come conciliare il racconto con la parabola? Ecco le diverse proposte per cercare di trovare una soluzione che accordi la parabola con la conclusione di Gesù.


La prima. C’è chi parte dalla conclusione per spiegare la parabola e nota che il verso 22 si dovrebbe tradurre con “chi lo amò di più”, anziché con “chi lo amerà di più “, passato anziché futuro. In tal modo anche nella parabola l’amore sarebbe stato antecedente. Al secondo debitore fu perdonato di più (500 denari anziché 50) perché egli aveva amato di più.


La seconda. E invece c’è chi parte dalla parabola per spiegare la conclusione: la donna peccatrice amò molto (più dell’ospitante Simone) perché già prima aveva ricevuto un grande perdono da parte di Dio. L’amore, quindi, conseguente al perdono, è espressione della gratitudine per il bene già ricevuto (molte traduzioni moderne della Bibbia usano il perciò al posto del perché).


La terza. Secondo alcuni sono veritieri tanto la parabola quanto la conclusione di Gesù, nonostante la loro opposizione. Gesù vorrebbe mostrare l’opposizione tra l’ordine naturale e lo spirituale: nel naturale la gratitudine segue il condono del debito (parabola), ma nell’ordine spirituale avviene proprio il contrario: senza amore preesistente non vi può essere perdono. Dio perdona chi si converte, chi gli mostra amore. È l’interpretazione assai diffusa tra i padri e seguita da molti moderni.


La quarta. Secondo un’ultima soluzione la parabola e la conclusione esprimono due aspetti complementari della giustificazione: la parabola ci mostra l’amore di Dio, pronto a perdonare, crea la gratitudine riconoscente e amorosa del peccatore. La conclusione mostra però che tale perdono non viene dato dove manca l’amore. L’amore è qualcosa che si sviluppa: chi ama riceve il perdono (conclusione); e chi sente di essere stato perdonato, ama ancor più (parabola). Si tratta solo di due aspetti dello stesso processo, che si passa dall’amore antecedente all’amore conseguente. Non si può sostenere che Dio perdona quando vi è solo un dolore di attrizione: “Mi pento per paura dell’Inferno; ma dove vi è un vero dolore dettato dall’amore: “Sono pentito per avere offeso e contrariato Dio che è sommo amore e che merita tutto il mio amore”.


Conclusione. Contro gli inflessibili farisei, Gesù conosce il dramma interiore di quella peccatrice che pentita si rivolge fiduciosa a Gesù mostrandogli tutta la tenerezza del proprio amore, con pianti, baci e profumo sui piedi, per cui non solo le permette di essere da lei toccato, ma le assicura il perdono divino.


Breve commento degli editori. Luca è il vangelo della misericordia di Dio verso i peccatori. Gesù è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. I critici di Gesù, i farisei e gli scribi, incapaci di comprendere l’amore di Dio verso i peccatori, si scandalizzano perché egli accoglie i peccatori e mangia con loro. Lo accusano di essere un loro amico. I pubblicani e i peccatori sono più vicini a Dio, che non gli scribi e i farisei, perché si sono ravveduti alla predicazione del Battista e di Gesù. La buona notizia è che non i sani (chi pensa di non aver bisogno di Gesù) ma i malati (chi sente di averne bisogno) sono oggetto delle cure di Dio. La parabola dei due debitori si inserisce in questo contesto di accoglienza e di perdono dei peccatori da parte di Dio. Nella scena iniziale della mensa, che precede la parabola, emerge la contrapposizione tra Gesù e il fariseo sul modo di accogliere la donna. Il fariseo Simone vede in lei soltanto una peccatrice (hamartolos), una donna poco di buono: “Se fosse profeta, saprebbe che chi lo tocca è una peccatrice”. Mentre Gesù vede una donna capace di amare e di pentimento: “Vedi questa donna, tu non mi hai … ma lei” (per ben tre volte). Il fariseo ha un’idea della giustizia che lo porta a distanziarsi dalla donna, mentre Gesù l’accoglie e si rivolge a lei con il perdono. Altro dato che emerge dal racconto: il fariseo manca di dare vera ospitalità a Gesù, mentre la donna lo unge con olio, gli lava i piedi con le sue lacrime e non smette di baciarli. Tutti gesti che indicano profonda gratitudine verso Gesù e mostrano un ravvedimento in atto in lei. Con la parabola Gesù non fa che spiegare la buona notizia dell’accoglienza dei peccatori e mostrare il diverso atteggiamento e differente modo di comportarsi della donna e del fariseo di fronte al perdono: gratitudine lei, indifferenza e trascuratezza lui.  Al centro della parabola c’è il contrasto tra grande e piccolo debito e tra grande e piccola riconoscenza di chi riceve il condono. L’annuncio del perdono dei peccati, che qui non è raccontato ma è presupposto, ha un effetto dirompente nella vita della donna, che sa di essere peccatrice; mentre il fariseo non si sente per niente toccato. La donna si sente riconoscente verso Gesù, il fariseo lo osserva e dubita del suo essere profeta. Ma Gesù non soltanto sa chi sia la donna, conosce pure il pensiero che passa nella mente di Simone. Collocato all’interno del contesto del vangelo della misericordia verso i peccatori, il versetto 47 mantiene tutta la sua pregnanza e forza, sia che si usi il “perché” sia che si usi il “perciò”. Nel primo caso (molto perdonato perché ha molto amato), il significato sarebbe: il perdono di Dio viene donato in Gesù Cristo a chi si pente e accoglie il messaggio del Vangelo. In fondo, i gesti della donna rivelano il suo pentimento, oltre che la gratitudine nei confronti di Gesù, e la condizione per ricevere il dono di Dio del perdono dei peccati è il ravvedimento (la fede che porta al ravvedimento e all’ubbidienza). Nel secondo caso (molto perdonato perciò ha molto amato), l’amore della donna, fatto di gesti concreti, manifesta la gratitudine per il perdono ricevuto; l’amore riconoscente e i gesti della donna sono la dimostrazione, sono la conseguenza della consapevolezza di esser perdonata, non la causa del perdono. Sia nell’uno che nell’altro caso il senso della frase si accorda perfettamente con il  messaggio della misericordia del vangelo di Luca.


Nota degli editori. Questa parabola de I due debitori (Luca 7,40-43) è tratta dagli appunti scritti a mano di Fausto Salvoni (1907-1982) sulle parabole di Gesù. Le note (e i termini greci) riportate in parentesi e alcune parti del testo sono di Paolo Mirabelli, che ha curato la revisione, strutturato la parabola in punti e riformulato alcune espressioni. La trascrizione dei testi è di Cesare Bruno e Roberto Borghini.

Fausto Salvoni

11 settembre 2018

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“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

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