Giacobbe fugge dall’ira di suo fratello Esaù, dopo l’episodio della primogenitura. Fugge dalle sue paure e da un futuro ormai incerto. Fugge da una vita che lo spaventa e va alla ricerca del nuovo, verso una situazione più tranquilla. Si avvia verso la Mesopotamia, da dove proviene Abramo. Solo che a differenza di suo nonno, egli fa il viaggio inverso, come se tutto ritornasse indietro per poi ricominciare di nuovo. Parte da Beer-Sceba e va verso Caran. Giunge in un certo luogo e vi passa la notte: prende una pietra come capezzale e si corica. Durante la notte fa un sogno: una scala collega la terra al cielo. In cima alla scala c’è il Signore, il Dio di Abramo e di Isacco, che gli parla. La terra sulla quale egli è coricato Dio la darà a lui e alla sua discendenza. La mattina Giacobbe si sveglia dal sonno e dice: “Il Signore era in questo luogo e io non lo sapevo” (Genesi 28,16).
Si dice che viviamo in tempi post-moderni e post-ideologici. Categorie queste che significano tutto e niente. Ogni società si considera moderna nel suo tempo. Nessuno dice mai: noi siamo il vecchio. Di una cosa siamo certi: indietro non si torna. Il tempo scorre inesorabilmente e nessuno riesce a fermarlo. La fine delle ideologie che hanno segnato in novecento è ormai un dato di fatto, ma chi ci assicura che anche le “nuove proposte” non siano ideologiche, vecchie? La tecnologia ci permette di essere super informati e di accumulare dati e accrescere la conoscenza. Ma che ce ne facciamo di così tanta scienza e conoscenza, se non abbiamo più una finalità, uno scopo? A che serve fare solo analisi senza sintesi? Si dice pure che viviamo in tempi post-religiosi. Non mi pare. Se c’è una cosa che oggi è tornata in maniera preponderante è proprio la religione. In nome della religione si stanno consumando tante tragedie e si elevano nuovi confini e barriere. Sono invece d’accordo nel dire che religione non è sinonimo di fede, vera e autentica. E se il cristianesimo è inteso come una religione, allora è vero che viviamo anche in tempi post-cristiani. Sono tante le persone in mezzo a noi che seguono il profano, l’occulto, l’esoterismo, il movimento New Age, l’oroscopo, la magia, l’olistica, le nuove forme di idolatria. È cresciuto l’interesse per i vangeli apocrifi e quelli esoterici. La gente è stanca delle cose che non cambiano mai, come accade in politica. C’è una coscienza che sente il bisogno di rompere con il vecchio per aprirsi alla novità e al cambiamento, al nuovo che sa dare risposte ai bisogni, ai problemi e alle crisi esistenziali dell’uomo. Credo che tutto ciò sia un tempo opportuno, inteso come kairos, per l’annuncio dell’Evangelo, perché la fede in Dio e la riscoperta della sua Parola possano tornare a dare ciò di cui l’uomo ha veramente bisogno.
Ma a che cosa noi cristiani siamo sollecitati oggi? Come possiamo aiutare chi e in fuga? Come possiamo rispondere alla ricerca e bisogno di novità che nasce nel profondo dell’uomo? Gesù nei vangeli parla di “vino nuovo” e di “vino vecchio”. Egli per primo ha parlato di rottura con il vecchio: il sistema delle tradizioni ebraiche che imprigionava l’uomo. E nel suo insegnamento, nel discorso della montagna, si spinge anche oltre quando afferma: “Avete udito che fu detto, ma io vi dico”. Nelle sue parole c’è una novità rispetto a qualunque vecchio sistema e insegnamento. Gesù stesso e il Vangelo sono la novità. Purtroppo non sempre c’è sintonia tra il fare e l’insegnamento delle chiese e il fare e l’insegnamento di Gesù e dell’Evangelo. A differenza di Gesù che incontra l’uomo, l’individuo, nella sua specificità e vissuto quotidiano, le chiese parlano delle persone come se fossero categorie: poveri, malati, disoccupati, stranieri. Bisogna invece imparare a parlare alle persone. Sta crescendo molto la letteratura di autoaiuto in vendita nelle librerie: come fare da soli per difendersi, per riuscire, per non essere sopraffatti. C’è poi la letteratura aggressiva su come guarire o come diventare ricco. In essa si dice: “Tutto dipende da te, dalle tue forze e capacità che riesci a sviluppare”. Noi cristiani invece siamo chiamati ad annunciare la parola della grazia, per far comprendere che la cosa migliore della vita è quella che ci proviene dal dono di Dio. Dobbiamo aiutare le persone a superare il tratto antisacrale del nostro tempo, sollecitandole a porsi alla sequela di Gesù. Saranno sorprese dal dono di Dio, di cui pensavano di non averne bisogno. Il presente tornerà così a essere un presente, che in italiano significa dono. Dobbiamo aiutare le persone a incontrare il Signore e salvatore, Gesù Cristo, per scoprire la novità di Dio. Quando l’uomo incontra il Gesù che sorprende e meraviglia, con il suo amore incondizionato e il suo sacrificio, sentirà di dire come Giacobbe: “Il Signore era in questo luogo e io non lo sapevo”.