Bibbiaoggi
Gesù Cristo, la Bibbia, i Cristiani, la Chiesa

Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna (Giovanni 3,16).

Gesù è a Gerusalemme per la festa (la Pasqua?). Presso la Porta delle Pecore c’è una vasca, in ebraico si chiama Betesda, che ha cinque portici: il luogo assomiglia a una sala d’attesa di un pronto soccorso d’ospedale. Sotto quei portici c’è un gran numero di infermi, ciechi, zoppi, paralitici, i quali aspettano di immergersi nelle acque della piscina, ritenute risananti a motivo della discesa di un angelo che procura un effetto salutare a chi si bagna per primo. Tra gli infermi c’è un paralitico, malato da trent’otto anni. Da lungo tempo giace in quella misera condizione. La sua malattia sembra destinata a non aver fine: una vita e una biografia segnate per anni dalla malattia. La paralisi pietrifica il corpo e immobilizza l’esistenza dell’uomo; rende il paralitico una specie di scultura inglobata al portico della piscina. La solitudine dell’infermo, che non ha chi lo aiuti a immergersi nelle acque, ne fa un emarginato, un mendicante. Egli vive nella totale dipendenza dagli altri, ha bisogno che qualcuno lo accudisca, che se ne prenda cura e gli faccia sentire il rassicurante senso di non essere totalmente abbandonato al suo drammatico destino. Gesù vede la sua sofferenza e impotenza; vede l’umile condizione in cui versa e gli domanda: “Vuoi guarire?”. La domanda suscita interesse nel malato e sposta l’attenzione dalla piscina a Gesù. La cura della malattia inizia da quello sguardo che sa vedere la sofferenza, che ha attenzione per il malato e si china verso di lui per aiutarlo. Il paralitico percepisce in quelle parole la speranza della sua guarigione, ma non capisce come ciò possa avvenire. A volte, soprattutto quando la malattia persiste da anni, il malato cade in una inattività e passività quasi seducente, e non vede via d’uscita se non quella di lasciarsi andare. Il paralitico non riesce proprio a vedere oltre quei cinque portici e quelle acque agitate della piscina, che rappresentano per lui la possibilità di guarigione. È vero, egli chiama Gesù “Signore”, ma poi il suo sguardo torna alle acque di quella piscina. Gesù risveglia in lui la speranza di credere che la malattia possa finire e un nuovo inizio sia possibile. La vita può ricominciare a guardare lontano: oltre quelle acque, oltre quella malattia che sembra non aver fine, oltre la condizione di ammalato che l’ha reso per tanto tempo un povero sfortunato, uno tra i tanti. Gesù dà compimento alle sue parole e guarisce il paralitico con l’istantaneità di una parola, potente ed efficace, che reca guarigione, superando anche l’ostacolo del “primato” dell’immersione. L’infermo non ha bisogno che entri nell’acqua per essere guarito. C’è Gesù che può guarirlo e salvarlo. “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina” (Giovanni 5,8). Alzati, egheire in greco, è un verbo della risurrezione, che rimanda al Risorto. Gesù ridona guarigione al malato, lo “risuscita” da quella condizione di paralisi che assomiglia a una tomba; ricolloca l’uomo nella comunità dei sani, gli restituisce la dignità perduta. Ora egli può agire, muoversi e camminare sulle proprie gambe.


Alzati e cammina. L’uomo si manifesta dai suoi atteggiamenti, dal suo modo di vedere la vita e la realtà che lo circonda, dal suo modo di parlare, dalla padronanza che ha sulle cose, dal suo modo di reagire alle situazioni della vita. L’uomo si vede dai rapporti che ha con gli altri, dalle domande che si pone, dai sentimenti e dalla coerenza con cui affronta la vita. L’uomo si vede da come reagisce ai fallimenti, al rifiuto, alle sconfitte, alla malattia, alla povertà. L’uomo si snatura, si lascia ingessare dal peccato se vive nell’assenza di fede, mentre si realizza in pienezza nell’assenso al progetto di vita di Dio. E allora qualunque sia la prova di sofferenza che la quotidianità di ogni giorno riserva, qualunque sia la condizione di difficoltà in cui ci troviamo, qualunque sia l’infermità con la quale dobbiamo a volte venire a patti, evitiamo di rimanere paralizzati e di diventare sculture marmoree immobilizzate in mezzo ai “cinque portici” delle nostre città, smettiamola di guardare “le acque della piscina” nella speranza di calarci in esse, quando sono agitate, prima che qualcuno vi entri per primo. Gesù ci invita ad alzarci e a camminare. Ma il nostro cammino deve essere modellato al suo, il nostro alzarci deve iscriversi in quella forma a priori di ogni alzarsi, che è l’alzarsi di Gesù Cristo. Il peccato ci paralizza molto più della malattia (5,14). Se permettiamo a Gesù di farci alzare e se mettiamo i nostri passi sui suoi passi, lontano dalla morte e dal peccato, la nostra vita sarà piena ed esuberante, modellata da Dio alla forma del Figlio. Gesù è venuto per ricollocare l’uomo sulla via di Dio, per ridargli vigore e forza, per farlo camminare sulle proprie gambe. A quanti vivono sotto i “portici” e aspettano “l’agitarsi delle acque”, Gesù dice: “Alzati e cammina”.

Paolo Mirabelli

17 aprile 2018

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Non basta possedere la Bibbia: bisogna leggerla. Non basta leggere la Bibbia: bisogna comprenderla. Non basta comprendere la Bibbia: bisogna viverla.

“Ogni Scrittura è ispirata da Dio e utile a insegnare, a riprendere, a correggere, a educare alla giustizia, perché l'uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.” (2 Timoteo 3,16-17). “Anima mia, trova riposo in Dio solo, poiché da lui proviene la mia speranza. Egli solo è la mia rocca e la mia salvezza; egli è il mio rifugio; io non potrò vacillare.” (Salmo 62,5-6).

Trova il tempo per pensare; trova il tempo per dare; trova il tempo per amare; trova il tempo per essere felice. La vita è troppo breve per essere sprecata. Trova il tempo per credere; trova il tempo per pregare; trova il tempo per leggere la Bibbia. Trova il tempo per Dio; trova il tempo per essere un discepolo di Gesù.